domenica 21 gennaio 2007

Quarta tappa: La rana dispettosa

Uno studio afferma che qualunque frazione di tempo prendiamo in considerazione il 99% dei pensieri che la nostra mente genera sono pensieri già fatti e solo 1% è rappresentato da pensieri "nuovi". Che tipo di pensieri sono questi "pensieri vecchi"? Idee ricorrenti che facciamo deliberatamente perchè producono in noi una certa soddisfazione o appagamento, ma anche pensieri ossessivi riguardanti il nostro passato, cosa avrei potuto dire in una certa situazione e non ho detto, il rammarico per non essersi comportati in un certo modo magari la tristezza d'aver perso quello che si aveva, la tristezza di non essere riusciti ad ottenere quello che si voleva, il piacere che si è provato in una certa situazione e così via; chiunque provi a stare un po' attento a cosa pensa prima di prendere sonno è capace di allungare all'infinito questa lista che ho appena accennato.
Perchè pensare sempre alle stesse cose, ne abbiamo un reale beneficio? Se durante il giorno sarebbe utile essere consapevoli di questi meccanismi mentali, durante la meditazione è obbligatorio raggiungere anche un silenzio mentale che, incredibile ma vero, consiste proprio nell'assenza di pensieri. Come fare? Ci sono un numero enorme di trucchetti ed esercizi, ma quello che ho deciso di seguire è quello suggeritomi da chi ha pensato e insegnato la meditazione che pratico, questo perchè se si decide di seguire una strada la cosa importante è farlo fino in fondo senza deviare e senza prendere scorciatoie magari pericolose. Ballester ci ricorda che il senso di tale meditazione è la contemplazione di un mistero, il mistero di un Dio incarnato, per questo è necessario avere ben presente qual è la meta di questo viaggio o in altre parole verso chi stiamo dirigendo la nostra attenzione.
La ricerca del Nome Supremo, deve portarci alla scoperta di quella parola che più di tutte le altre rievoca in noi l'idea di Dio, ognuno deve trovare la sua e deve conservarla nel proprio intimo come un dono prezioso che possiamo volendo, anche rievocare in tutte situazioni in cui sentiamo, o meglio ci ricordiamo di essere delle creature fragili, indifese e bisognose di cure. Va sottolineato che il NS assume così il significato di fine e mezzo nello stesso tempo, come dice l'autore in "Verso l'altra sponda":
Il Nome è, infatti non solo un veicolo verso la sponda del silenzio, ma anche un indice della crescita interione. All'inizio il NS risuona ben presente nella coscienza del meditante. Egli lo lascia risuonare in sè, sentendolo e assaporandolo e permettendogli di "divenire colmo di famigliarità e tenerezza", come disse un meditante. E' lui il centro della meditazione, che manifesta alla psiche la misteriosa presenza significata nel suo contenuto.
Ci accorgiamo che la ripetizione di tale nome compiuta mentalmente o a voce alta, prende spontaneamente il ritmo della respirazione, non è obbligatorio che sia così, possiamo anche modificare questa frequenza, la cosa fondamentale è restare vigili durante tutto il tempo, questo vuol dire che dobbiamo avere l'accortezza di notare quando altri pensieri hanno interrotto il NS e non è così facile come si possa immaginare. L'errore consiste nell'identificarci coi nostri pensieri, infatti la cosa difficile da realizzare pienamente è che noi non siamo quello che pensiamo ma quella volontà interiore capace di guidare i nostri pensieri sulla giusta strada. Se fossimo quello che pensiamo probabilmente cento volte al giorno saremmo dei ladri, stupratori, assassini, iracondi, non siamo questo perchè abbiamo una forza interiore capace di imporsi sui pensieri peggiori. Ma come non permettiamo che questi pensieri si trasformino in azioni, allora potremmo fare un piccolo passo indietro e sopprimerli direttamente sul nascere.
Ho letto una bellissima metafora che descrive la meditazione come il cammino di chi vuole portare una rana su un piatto da una parte all'altra di una strada. La rana salta e l'uomo pazientemente la riporta sul piatto, ricomincia a camminare e la rana salta dal piatto un'altra volta così l'uomo si china per rimetterla delicatamente al suo posto e così all'infinito fin tanto che l'uomo non riesce ad attraversare la strada.
Il rischio è di identificarsi con una mente indisciplinata o se vuoi con la rana, noi non siamo la rana siamo l'uomo che la mette al suo posto, non siamo la mente indisciplinata, siamo la disciplina. Il pericolo maggiore è quello di fissare così tanto da vicino la rana che quando salta non ce ne rendiamo neanche conto e con lo sguardo la seguiamo nel suo saltellare chissà dove e quando alziamo gli occhi ci accorgiamo che questa ci ha portati lontanissimi dalla nostra meta. Quindi fuor di metafora direi che occorre creare un distaccò forte fra ciò che la nostra mente decide spontamenamente di pensare e ciò che noi ci siamo imposti di pensare, uno spirito disciplinato è capace di mantenere la sua attenzione solo e soltanto dove decide di riporla, sia anche per un breve intenso momento. E nella MPA si decide fermamente di riporre la propria attenzione in Cristo, contemplare il suo mistero e avvertire la sua presenza nella nostra vita, cominciando da questi istanti che con tanto sacrificio cerchiamo di liberarci da tutte le possibili distrazione esteriori e interiori che ci allontanerebbero dalla nostra meta.




Se viviamo un periodo in cui qualcosa di recente ci ha turbati e non si vuole che i nostri pensieri prevalgano durante la meditazione, prima di sedersi è indispensabile capire da dove provengono quelli più forti ed insistenti perchè è il primo passo per liberarsene, analizzare le cause che li generano e cercare di dargli la giusta importanza che nella maggior parte dei casi è nettamente più limitata di quella che gli attribuivamo all'inizio.
Da un paio di giorni la mia mente va insistentemente a una situazione che non sono stato capace di gestire, questo vuol dire che al minimo momento libero quando l'attenzione non è diretta su qualcosa in particolare i pensieri tornano sempre a quella situazione. Tutto ciò produce in me senso di rammarico per non essere riuscito a spiegare ciò che volevo, è il timore d'aver offeso o prodotto sofferenza ad una persona che come tutti aveva già i suoi problemi. E' anche il dispiacere di aver perso definitivamente una buona occasione per approfondire un rapporto che m'avrebbe fatto molto piacere coltivare perchè volentieri avrei investito le mie energie. Non sono ancora riuscito ad attenuare il disagio e probabilmente nei prossimi giorni verrà a farmi ancora visita anche quando andrò a meditare ma almeno so cos'è e da dove viene, è già una prima conquista.

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