martedì 8 ottobre 2019

La lunga guerra

La facoltà di Fisica è la leva militare che non ho fatto. 
I professori ti addestrano, ti danno in mano un fucile ti spiegano com'è fatto e come si usa. Aule piene di post-adolescenti con lo sguardo attento, osservo il loro affanno nel riempire quaderni di appunti, quasi 10h ore di lezione al giorno per i prossimi 9 mesi. Aria stanca, la fronte appoggiata sul palmo, gli occhi due spolette fra la lavagna e il quaderno, un giorno saranno in guerra. I professori, hanno combattuto la loro battaglia, conquistarono terreno e oggi la trincea in cui ci troviamo è di qualche km più avanti, ci addestrano dalle retrovie. Alla fine della leva toccherà a noi. Il nemico non fa vittime, ci paralizza nella condizione in cui siamo, obbliga la nostra specie a stare al confine, un confine di non conoscenza che ci circonda, un muro di ignoranza che cerchiamo da neanche 400 anni di spostare un po' più in là. Un baratro tutto intorno di cui non si conosce la profondità e neanche l'estensione. La prima arma fu quel telescopio che Galilei si costruì da solo, il primo squarcio che da quel momento generazioni di fisici hanno cercato gradualmente di allargare con mezzi sempre più potenti. Ma adesso sembriamo essere ad un punto morto. La gravità, il tempo, la materia oscura, i buchi neri, il modello standard ancora incompleto e tutti i fenomeni quantistici ancora incompresi pienamente a quasi 100 anni dalla loro osservazione sperimentale. Buio totale. 
La nostra specie nasce con questo fuoco inestinguibile, una necessità di spostare i confini della conoscenza un po' più in là. Quest'anno 70 diciottenni da mezza regione hanno deciso di arruolarsi pensando che ne valga la pena sacrificare la loro giovinezza per questa causa: dare all'umanità un universo un po' più grande di quello in cui attualmente siamo.