sabato 31 marzo 2007

Il primo volo del Concorde

Sul finire degli anni '60 la tecnologia per costruire motori capaci di spingere un aereo a velocità supersoniche era abbastanza evoluta che qualcuno pensò si potesse far strada anche nell'aviazione civile.
Nacque il progetto "Concordia" il nome derivato da uno storico accordo, necessario a sostenere costi di sviluppo esorbitanti per un aereo così ambizioso, fra due diverse compagnie aeronautiche fino allora rivali l' Aérospatiale francese e la britannica British Aircraft.
Nel '69 un grande aggraziato velivolo con ali a delta compie il primo decollo mentre l'anno successivo raggiunge la velocità per cui era stato progettato Mach 2.1 altri 6 anni di continui collaudi e finalmente le prime tratte di linea: Parigi-Dakar-Rio de Janeiro e Londra-Bahrain. Le commissioni non furono numerose ma i pochi esemplari acquistati da British Airway ed Air France riuscirono a coprire i costi di sviluppo. Per oltre 20 anni il Concorde garantì gli spostamenti di miliardari uomini d'affari dal vecchio al nuovo continente in poco più di 3 ore, unico mezzo capace di avverare il sogno di andare a New York e tornare in giornata! In tutti questi anni il Concorde ha rappresentato la Ferrari dell'aeronautica civile mondiale fiore all'occhiello nella flotta delle uniche due compagnie mondiali capaci di permettersi un simile servizio, ma i costi di gestione e l'esiguo carico pagante (appena 90 posti) assottigliarono nel tempo il già esiguo margine di guadagno delle due compagnie che sul finire degli anni '90 lo tenevano in volo più per una questione di prestigio che di reale tornaconto, tratte che ebbero il colpo di grazia con i fatti dell'11 Settembre e la crisi del volo civile che ne conseguì.




venerdì 30 marzo 2007

Sotto scacco

Pensando al significato di dichiarare scacco al re, si potrebbe credere che chi ha pensato questo gioco ha deciso aggiungere una regola che desse al giocatore in difficoltà la possibilità di rimediare. In realtà dare scacco non è una cortesia ma una minaccia, un modo per far sentire all'altro il proprio fiato sul collo. Ma la minaccia può essere anche una forma di difesa, un modo per spezzare i giochi di un avversario molto forte che sta avendo la meglio, obbligandolo a difendere il re e interrompendo così i sui piani d'attacco. Si può scegliere di minacciare un altro pezzo importante come la regina ma non si ha l'obbligo di dichiararlo, anche in questo caso lo si può fare a scopo difensivo mettendo alle strette l'avversario e metterlo di fronte a una decisione impegnativa: continuare il suo piano d'attacco sacrificando la regina o salvare la regina perdendo così una mossa decisiva per portare a termine una strategia pianificata da tempo. Tutto dipende da quanto si è vicini alla vittoria e da quanto è decisivo il pezzo che si vuole sacrificare pur di vincere la partita.
Sentirsi minacciati mette paura e questa può farci perdere lucidità anche quando abbiamo la vittoria in tasca, ripenso alle volte che sostenevo esami con il timore di non farcela e la differenza che c'era rispetto a quando mi sedevo tranquillo e pieno di fiducia. Chi non crede in se stesso si mostra agli altri come chi ha già perso, mentre chi crede nelle proprie capacità si distingue subito come vincente, il problema è avercele realmente e non soltanto mostrarlo agli altri, i bluff possono funzionare solo a patto che non diventino una regola.

lunedì 26 marzo 2007

Giustizia sociale

Qualche giorno fa in tv ho visto un servizio che descriveva il lavoro di una persona. Si trattava di piegarsi fin quasi a terra, avvitare 4 bulloni e aspettare che arrivino gli altri da avvitare. Il tutto avveniva nel giro di 2 minuti e si ripeteva per 8 ore al giorno, a conti fatti quell'uomo compiva quel lavoro ben 240 volte al giorno e in questo caso la precisione del calcolo non è esagerata ma ben giustificata dal fatto che una catena di montaggio difficilmente cambia il suo ritmo.
Alla fine del servizio il giornalista chiede lo stipendio:
- 1.100 € al mese, ma quando faccio gli straordinari anche 1.200 €. Aggiunge fiero l'operaio.
A questo punto chi fa un lavoro meno faticoso per meno ore al giorno e molto più remunerativo potrebbe avvertire due cose, disagio oppure orgoglio. Una persona cinica potrebbe mettersi la coscienza a posto pensando che l'operaio se l'è cercata perché se avesse avuto la volontà di studiare e l'ambizione di aspirare a qualcosa di più alto a quest'ora non sarebbe lì ad avvitare bulloni. Questo ragionamento avrebbe un senso se fosse vero, forse poteva valere 30 o 20 anni fa ma ai nostri tempi la cosa non sta proprio in piedi perché non è affatto vero che chi, con tanti sacrifici raggiunge un alto titolo di studio può pretendere di ottenere un ottimo impiego, deve essere già contento se ne trova qualcuno precario.
Chi ha un briciolo di sensibilità potrebbe chiedersi che ha fatto di male per meritarsi di stare dalla parte dei "cattivi" pur senza averlo scelto e cosa potrebbe fare per aiutare quella gente. Ma anche dietro questo "sentirsi in debito" c'è un idea di fondo essenzialmente sbagliata che è quella di stare togliendo col proprio impiego ben retribuito del denaro a qualcun'altro. Forse quell'operaio meriterebbe una paga maggiore per la fatica che fa ogni giorno ma questo non vuol dire che chi sta sopra di lui, o chi svolge una mansione che non prevede una fatica fisica ma una responsabilità individuale di un certo rilievo sociale dovrebbe prendere meno.
Il valore che si da al lavoro di una persona a volte sembra adeguato a volte sembra ingiusto, dove queste inguistizie sono lampanti le battaglie compiute potrebbero essere l'unico sistema per smuovere le coscienze e tentare di migliorare la situazione; chi decide di prenderne parte non è di sinistra è solo una persona un po' più sensibile delle altre che vorrebbe più giustizia e uguaglianza mentre chi si sente estraneo a queste lotte non è di destra ma solo una persona cinica ed egoista che se ne frega altamente di come stanno gli altri e della fatica che fanno ogni giorno.

lunedì 12 marzo 2007

La bambola di sale

"Ci sono cose che puoi capire fino in fondo solo quando le provi in prima persona"
E' una frase che mi sono sentito dire spesso, a volte col tono un po' saccente di chi sottintende: - Che ne puoi sapere proprio tu che sei nato ieri. Quando "si subiscono" questo tipo di discorsi oltre un certo fastidio fisico, provo anche un filo di curiosità perché ci si chiede se nella immensa presunzione ostentata da chi parla così, vuoi vedere che non ci sia anche un fondo di verità? Questa curiosità a volte è una tentazione pericolosa, ed è quello che in passato mi ha indotto a fare le cose peggiori della mia vita. In altri contesti è una spinta positiva, l'idea di provare la stessa esperienza di qualcun altro per capire cosa ha sentito a cosa è andato incontro e se ha ricevuto dei benefici da questa esperienza. Nel "buttarsi" in un'esperienza ignota ci vuole una certa dose di fiducia accoppiata al coraggio, il coraggio di mettere da parte le proprie idee per aprirsi a nuovi modi di vedere le cose, fino a fare una scoperta inattesa: quel modo di pensare che giudicavamo tanto lontano dal nostro in realtà ci è sempre appartenuto.
C'è una favola che condensa benissimo tutto quello a cui mi riferisco, parla di una bambola di sale che vuole capire cosa sia il mare.


Voleva a ogni costo vedere il mare. Era una bambola di sale, ma non sapeva che cosa fosse il mare. Un giorno decise di partire. Era l'unico modo per soddisfare la sua esigenza. Dopo un interminabile pellegrinaggio attraverso territori aridi e desolati, giunse in riva al mare e scoprì qualcosa di immenso, affascinante e misterioso nello stesso tempo. Era l'alba il sole cominciava a sfiorare l'acqua, accendendo timidi riflessi e la bambola non riusciva a capire.
Rimase lì impalata a lungo, solidamente piantata al suolo, con la bocca aperta. Dinanzi a lei, quella distesa seducente.
Si decise. Domandò al mare:
- Dimmi chi sei?
- Sono il mare.
- E che cos'è il mare?
- Sono io!
- Non riesco a capire, ma lo vorrei tanto. Spiegami che cosa posso fare.
- E' semplicissimo: toccami
Allora la bambola si fece coraggio. Mosse un passo e avanzò verso l'acqua. Dopo parecchie esitazioni, sfiorò quella massa con un piede. Ne ricavò una strana sensazione. Eppure aveva l'impressione di cominciare a comprendere qualcosa.
Allorchè ritrasse la gamba, si accorse che le dita dei piedi erano sparite. Ne risultò spaventata e protestò:
- Cattivo! Che cosa mi hai fatto? Dove sono finite le mie dita?
Replicò imperturbabile, il mare:
- Perché ti lamenti? Semplicemente hai offerto qualcosa per poter capire. Non era quello che chiedevi?
L'altra piatì:
- Si veramente, non pensavo... ma...
Stette a riflettere un po'. Poi avanzò decisamente nell'acqua. E questa, progressivamente, la avvolgeva, le staccava qualcosa, dolorosamente. A ogni passo la bambola perdeva qualche frammento. Ma più avanzava più si sentiva impoverita di una parte di sè e più aveva la sensazione di capire meglio. Ma non riusciva ancora a dire cosa fosse il mare. Cavò fuori la solita domanda:
- Che cos'è il mare?
Un'ultima ondata inghiottì ciò che restava di lei. E proprio nell'istante in cui scompariva, perduta nell'onda che la travolgeva e la portava chissà dove, la bambola esclamò:
- Sono io!

A. Pronzato. Gribaudi Ed.
Le seduzioni di Dio

martedì 6 marzo 2007

Assassini impuniti

Oggi il quotidiano "Il Giornale" di proprietà della famiglia Berlusconi apre con questo titolo: "I comunisti scatenano la guerra Italia-Usa".
E' una tipica espressione di quel idiota e infantile gioco delle parti in cui chi è di destra si sente in dovere di giustificare le "marachelle" degli Stati Uniti difendendo a volte anche l'indifendibile e arrampicandosi sugli specchi, mentre chi è di sinistra ci da dentro di brutto con le critiche anche quando non sarebbe il caso di farne un affare di stato.
Ormai possiamo dire di esserci quasi abutuati alle malefatte dei "nostri alleati" statunitensi ma il risvolto agghiacciante questa volta è che la morte di decine di civili uccisi "per sbaglio" con la scusa di trovarsi vicini dei covi di probabili terroristi, viene giustificata e liquidata come se fosse una questione da poco.
Anzicchè dire è stato un tragico errore risarciremo come meglio possiamo quella povera gente innocente uccisa dai nostri stupidi militari col grilletto facile, si cerca di giustificarsi alla meno peggio, falsificando e insabbiando la verità. Che differenza c'è con il comportamento di un criminale assassino? Nessuno entrambi cercano di farla franca il primo alla giustizia i secondi agli occhi dell'opinione pubblica mondiale e, neanche a dirlo, entrambi non ammettono di avere compiuto un crimine. Mentre in un paese che si autodefinisce civile, chi sbaglia paga proprio per non tradire quei valori morali su si basa a quanto pare questa regola di coerenza non è una prerogativa degli Stati Uniti.
Purtroppo non è un caso isolato ma comincia ad essere una storia che si ripete: il sequestro Sgrena dove ha perso la vita Nicola Calipari con il "fuoco amico" dei marines Usa, ma anche il caso Abu Omar iman letteralmente sequestrato sul suolo italiano da agenti della Cia e torturato fino a scoprire la sua innocenza e per andare a qualche anno fa, la strage del Cermins dove un pilota Usa decollato dalla base aerea su territorio italiano, a caccia di forti emozioni volando a bassissima quota fra le cime alpine fece cadere la cabina di una funivia che stava trasportando 20 civili.
Io non voglio politici che si indignano o marce per la pace, voglio giustizia! Vorrei che chi sbaglia paghi, ci sono delle leggi e vorrei capire perchè se la fanno tutti sotto quado bisogna imporre il rispetto di tali leggi a nazioni come gli Stati uniti. Che fa la sinistra? Fa cadere un governo perchè i nostri cari alleati decidono di ampliare una base militare eredità politica di 60 anni fa danneggiando così più noi che loro. Perchè invece le più alte cariche del governo non provano ad esternare con forza del sano disprezzo verso una politica militare espansionistica che noi semplicemente non condividiamo dicendo una cosa del tipo: se a voi piace giocare a Risiko mettendo gli aeroplanini nei vari stati europei rinvigorendo così il vostro delirio di onnipotenza a noi può anche stare bene ma sappiate che ne riparliamo quando deciderete di attaccare un'altra nazione a partire da basi italiane. Dovevano essere i politici tutti compatti a dare un messaggio forte e invece si fanno marce inutili e manifestazioni che hanno avuto il solo effetto di spaccare una maggioranza fragilissima.
E così è avvenuto per la linea da tenere per l'Afganistan, personalmente sarei daccordo a mantenere i soldati a patto che sia per scopo umanitario, non è una cosa tanto assurda basta organizzare missioni di utilità civile, ma è indispensabile prendere le distanze da questi assassini e non stare al comando di gentaglia che ha perfino la presunzione di credersi nel giusto perchè stanno lì a combattere gli "stati canaglia".

giovedì 1 marzo 2007

I colori secondo me

Quando ero piccolo avevo sempre questo dubbio: se quando mi hanno insegnato a distinguere i colori io avessi percepito delle tonalità diverse da quelle che percepivano gli altri in tal caso non l'avrei mai potuto scoprire. Mi si dice che quando gli occhi avvertono il colore "X" allora questo è il colore rosso, quindi mi insegnano che la loro percezione "X" devo chiamarla "rosso", ma quello che mi hanno detto di chiamare rosso a me magari fa un altro effetto, diverso da quello che fa ai loro occhi, ai miei occhi non fa l'effetto X ma l'effetto "Y" che comunque chiamerò sempre come loro mi hanno insegnato, cioè rosso. Di conseguenza il mio rosso è diverso da quello degli altri pur essendo entrambi d'accordo a chiamarlo rosso. Mi ricordo ancora l'ilarità della maestra a sentire domandine del tipo: - Perché questo è il rosso?
- Questo è rosso vedi, come una fragola o come cappuccetto rosso.
E io a infierire: - E perché, cos'ha di diverso dal giallo?
E' uno di quei dubbi che solo i bambini possono avere dato che più si cresce più ahimè ci si rassegna alle convenzioni del mondo, la curiosità di scavare più a fondo comincia ad esaurirsi e si smette di fare altre domande. Ma tutto ciò mi ricorda come le persone, pur assegnando una "etichetta" a ogni cosa, non vuol dire che "le cose" di un individuo coincidono con "le cose" di un altro ma semplicemente che due o più persone si sono messi d'accordo a dare lo stesso nome a delle loro sensazioni o concetti.
E se ci sono seri dubbi sulla oggettività di concetti materiali come i colori figuriamoci che succede coi concetti astratti. Non possiamo mai avere la certezza di far capire quello che vogliamo per il semplice fatto che difficilmente il significato che diamo a una parola coincide con quello che da la persona che ci ascolta, è proprio un limite intrinseco del tipo di linguaggio che usiamo. Se fossimo delle macchine che parlano attraverso dei numeri forse avremmo risolto tutti i problemi di incomunicabilità, 25 non è un idea un po' vaga ma una quantità ben precisa ed è la stessa cosa sia per chi lo dice che per chi ascolta, ma in genere tutto il linguaggio scientifico necessariamente deve ridurre al minimo le ambiguità. Chi ottiene un risultato da un esperimento, vale solo se qualcun altro riesce a riprodurre esattamente l'esperimento e ottenere gli stessi risultati, per questo sono banditi aggettivi come tanto, poco, veloce, lento; bisogna sempre specificare quanto "poco" con un numero, quando "lento" con una misura e così via. Sono attributi che non hanno molto senso a pensarci bene, che vuol dire molto o poco, e che vuol dire bello e brutto, interessante o noioso? Ora che ci penso la scienza ha risolto il problema della percezione soggettiva dei colori proprio quantificando una proprietà della luce che è la lunghezza d'onda. Per cui la luce rossa per convenzione è quella che ha una lunghezza d'onda compresa fra 600 e 750 nanometri la luce gialla da 560 e 590 e così via, poi quando ognuna di esse si accavalla con tutte le altre il risultato è la luce bianca; quando invece compaiono tutte una accanto all'altra ma pur sempre distinte e separate l'effetto che si osserva è quello che vedete sotto e anche "questo" non si è salvato dalla nostra ossessione di affibbiare a ogni cosa un' etichetta.



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