lunedì 31 marzo 2008

Caos Calmo



Non posso continuare. Continuerò.

E' una citazione di Samuel Beckett con cui si apre il romanzo "Caos calmo" di Sandro Veronesi.
La storia inizia nel giorno in cui il protagonista Paolo, a mare con suo fratello, spavaldi a fare surf anche se non più giovani, non si lasciano scappare l'occasione di fare un gesto eroico; quello di salvare due donne che stavano per annegare. Neanche il tempo di inorgoglirsi che tornando a casa Paolo trova una scena terribile: il corpo della sua compagna precipitata dal balcone di casa circondato da vicini e parenti in lacrime.
Un lutto talmente improvviso e inaccettabile che paralizza la vita di Paolo; da quel momento in poi sembra che tutto continui a muoversi come sempre, ma si avverte che non è così, adesso tutto va avanti per inerzia e chi c'è dentro sta lì passivo a sentire questo aereo che non ha più spinta e che in maniera impercettibile ma inesorabile comincia a perdere velocità e anche quota. E non possiamo farci niente perché siamo noi il motore che non è più capace di spingere per riacquistare la quota corretta, si vorrebbe rimettere tutto in moto ma non si può, come se tutto restasse impigliato a quei momenti così ingiusti e incomprensibili (*). Il primo pensiero, l'unico pensiero che avrà Paolo sarà rivolto alla figlia di 12 anni che ha assistito all'incidente, terrorizzato da come la bimba potrebbe subire un lutto così grave. Pur tuttavia la figlia anche se rattristata dalla scomparsa della madre non manifesta alcun crollo, ne esterna il suo dispiacere con chissà quale sfogo di pianto.
Si dice fra se e se che prima o poi il colpo avrà le sue conseguenze forse in ritardo ma arriveranno e sta accanto a lei per sostenerla psicologicamente, per non farle pesare la mancanza della madre e per essere lì pronto ad aiutarla a superare quel momento in cui la bimba non sarà più capace di accettare con così tanto distacco la morte della madre. Ma quel giorno non arriva e nell'attesa Paolo le sta semplicemente accanto smette di lavorare, e per tutti i giorni la accompagnerà a scuola e la aspetterà fuori seduto nella panchina del giardino sottostante. Per distrarsi ripensa alla sua vita, ai particolari più banali, sopporta a malapena la compassione degli estranei che si fermano a chiedergli come sta e dei familiari sempre più preoccupati ma tutto gli scivola addosso senza dargli alcun beneficio; fin quando senza che lui faccia nulla, senza alcun apparente motivo qualcosa inizia a cambiare...




(*)
"Se il mio cuore avesse fiato correrebbe ancora

invece resta lacerato dentro a una tagliola"

Fiorella Mannoia - Fragile
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martedì 4 marzo 2008

Ico

E' il nome di un bambino, un bambino diverso. Ico è nato con due corna in testa, la cattiveria del mondo d'oggi probabilmente non gli avrebbe dato neanche la possibilità di nascere, mentre quella della sua gente lo ha condannato lontano dal suo villaggio sbattuto dentro un vecchio castello e chiuso lì dentro, lasciato da solo a morire di fame. Ico piange impaurito, poi si calma e comincia a gironzolare fra quella struttura abbandonata avvolta in una atmosfera austera e decadente quando in cima ad una torre, appesa sul tetto nota una grande gabbia, sale le scale che si avvitano alle pareti della torre e scopre che nella gabbia c'è qualcuno. Chi sei? Chiede impaurito. E' una esile bambina bianchissima sembra fatta di luce, la bambina non risponde alla domanda perché non capisce la lingua. Ico cerca di avvicinarsi e appena prima di saltare sulla gabbia tranquillizza la bimba dicendogli: Non ti preoccupare ti libero io.
La prima volta che ci si mette a giocare a Ico, si capisce subito che non è un videogioco come tutti gli altri, poi si vanno a leggere le recensioni sulle riviste o siti specializzati e chi cerca di spiegare l'originalità del gioco si serve di espressioni che si addicono a opere di ben altra natura. Nei panni di Ico, bisogna fare una cosa soltanto, proteggere Yorda dandole la mano difendendola da degli spiriti cattivi, quando ci allontaniamo un troppo per esplorare il paesaggio e trovare una via di uscita la bimba si sente abbandonata e comincia a chiamare. Si crea un legame, non fra i due personaggi, ma fra il videogiocatore e Yorda, la missione è coinvolgente ci si muove in un ambiente verosimile ma con l'atmosfera di un quadro surrealista. Non bisogna sparare o uccidere nessuno, l'unica arma che Ico ha contro gli spiriti è un bastone di legno che troverà a terra all'inizio del gioco, poi l'unica cosa che dovrà fare è trovare la strada per uscire da quel castello, niente sullo schermo che ci possa far pensare ad un videogioco, nessuna indicazione di nessun tipo niente barre di energia, niente vite restanti o livelli che si susseguono e per salvare nel punto in cui si è giunti l'unica cosa che bisogna fare e andarsi a sedere su delle panchine che si vedono di tanto in tanto negli ambienti in cui ci muoveremo.
Perchè è così coinvolgente e perchè resta così a lungo nei cuori di chi lo ha giocato? Oltre all'ottima realizzazione tecnica, grafica curata e musiche azzeccatissime, oltre all'originalità e alla tenerezza che suscitano i protagonisti della storia il tratto più significativo è l'idea di fondo che il gioco propone, lo scopo ultimo è semplicemente quello di prendersi cura di un altro personaggio indifeso e fragile e questo senza rendercene conto produce un legame. Il semplice stare accanto a Yorda, prenderla per mano e accompagnarla aiutandola a superare alcuni passaggi più rischiosi, sentire che ha bisogno di noi, sentirsi responsabili richiama un sentimento che sta nel profondo di ognuno, che poi è il modo in cui tutte le opere d'arte adottano per suscitare l'emozione nell'osservatore, fare leva su sentimenti inespressi. Ico e Yorda non si dicono nulla perchè non si capiscono non hanno niente da dirsi, eppure si comprendono coi gesti, la bambina ha il potere di aprire alcune porte e Ico neanche glielo chiederà, così come quando sarà la bambina ad essere in pericolo lui saprà che dovrà tornarle vicino per difenderla.





Il sito ufficiale
La storia


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sabato 1 marzo 2008

La storia di un errore

Tempo fa ad un ritiro di meditazione (MPA) chi ci guidava ci ha posto il quesito che prima o poi ogni uomo si pone, qual'è il senso della vita? Alcuni dissero mettersi alla ricerca di Dio, altri aiutare il prossimo, altri ancora mettere al mondo un figlio. Il passo successivo di questa riflessione è quello di chiedersi cosa rappresentano per ognuno di noi tutte queste cose, è una risposta facile, ci si pensa poco e si arriva alla conclusione che sono tutti modi per raggiungere la felicità.
Quindi il senso della vita è quello di essere felici, semmai la questione si sposta a cosa sono quelle cose capaci di renderci veramente felici. A volte ci illudiamo che determinate scelte siano la strada per raggiungere la felicità ma poi ci mettiamo poco a scoprire che è una felicità fasulla e fugace, così proviamo altre strade e poi altre ancora e qui le cose si complicano perché cominciamo a pensare che crearci un numero maggiore di possibilità ci metta nelle condizioni ideali per trovare quella giusta e invece è proprio il contrario più possibilità abbiamo di fronte e più è difficile scegliere e di conseguenza più facile sbagliare. Così per non commettere altri errori si comincia ad andare per ipotesi: se facessi questa cosa non sarei tanto felice forse sarebbe il caso di fare quest'altra però anche questa ha i suoi vantaggi.. e ci si dimentica che a volte la soluzione è sempre sotto gli occhi, e se avessimo gli occhi puri dei bambini saremmo capaci di vederla purtroppo abbiamo deciso di indossare il filtro della razionalità fatta di calcoli e spesso di luoghi comuni fatti accaduti ad altri che pensiamo valgano in ogni caso, oppure pensiamo che le cose devono andare in un certo modo senò non valgono e tutte le altre idee sbagliate che si basano su presupposti sbagliati. Per questo anche le scelte che in un primo momento abbiamo ritenuto sbagliate possono dare un senso alla vita.
Mi viene in mente il caso di una gravidanza indesiderata, un errore che può dare alla luce una nuova creatura oppure ucciderla se chi la porta in grembo ragiona in termini di costi/benefici, disagi, vantaggi, opportunità, circostanze e tutto il resto come fosse una lunghissima equazione matematica in cui alla fine i due termini devono coincidere. Tutto ciò mi ha fatto tornare in mente il testo di una canzone scritta da un complesso che adesso non c'è più si è sciolto i due avranno pensato che non era più il caso di fare musica assieme, peccato.
La canzone inizia dicendo:
Questa è la storia,
la storia di un errore..

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