giovedì 31 maggio 2007

Come faceva...?

Quando i miei pensieri più ricorrenti ricalcano alla lettera il senso di una canzone che non ascolto anche da molto tempo, cominciano prima a riaffiorare le note principali del ritornello poi le parti più significative per quello che sto vivendo il quel momento in fine tutto il testo a quel punto basta fare due più due e si capisce il motivo per cui la mente proprio in quel momento ha richiamato dalla memoria proprio quella canzone che si era quasi dimenticata.
Ho sempre odiato le pagine personali fatte in gran parte dal copiato di altre fonti, penso che se si decide di scrivere su internet cosa per lo più sconveniente ai navigatori che stanno cercando un'informazione importante, quanto meno non si abbia il cattivo gusto di aggiungere le stesse parole che si possono trovare in un centinaio di altri siti!



La canzone

L'autore

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domenica 27 maggio 2007

Ad occhi chiusi

Ci sono cose che si sanno anche senza sentire la necessità di farne esperienza, nel nostro intimo sappiamo già come si evolveranno determinati eventi anche se non abbiamo nessun elemento che ci possa aiutare a provarlo agli altri. Tutte le espressioni che hanno a che fare con la vista e con la fiducia indicano questo o anche il suo contrario, come credere solo dopo aver visto.
In uno dei miei film preferiti "Contact" verso la fine c'è una scena di pochi secondi che a mio avviso racchiude il senso di tutto il film. Jodie foster è una appassionata e tenace ricercatrice del Seti che fa di tutto per ottenere i finanziamenti per portare avanti i suoi studi delle onde radio provenienti dallo spazio; in questa sua ricerca è fin da subito palpabile la sua fiducia "cieca" nei risultati che sa di poter ottenere e pur non potendolo dimostrare agli altri come vorrebbe la sua determinazione la induce ad esigere i finanziamenti che le servono.
Il messaggio alieno viene ricevuto, sembra una trasmissione televisiva terreste ma in esso sono codificate le istruzioni per la costruzione di una stranissima macchina che non si sa bene a cosa serve e in che modo funziona.
Davanti a tanta tecnologia nessuno mette in dubbio il progetto che viene messo in atto, come sempre quando ci si trova di fronte all'evidenza è difficile dubitare, pur tuttavia in fase di costruzione rimangono delle riserve che inducono i costruttori a fare delle piccole modifiche come l'aggiunta di un seggiolino con cinture per il navigatore che sarebbe entrato all'interno di quella strana capsula.
Dopo tutta una serie di difficoltà arriva il giorno del lancio, la protagonista entra all'interno della capsula, la macchina si mette in moto e proietta questa in un'altra dimensione all'interno di un una sorta di tunnel. Intanto le vibrazioni che avverte si fanno sempre più forti e il seggiolino attaccato alla capsula la scuote con una forza sempre maggiore fin tanto che questa decide di slegarsi. Ed è in quell' istante che il seggiolino si stacca e va a sbattere con violenza sulla parete interna della capsula, rischiando di ucciderla. Proprio quella piccola modifica dettata dal buon senso dei progettisti è stata l'unica nota stonata che stava per mandare a monte tutto il progetto.
Non è facile avere una fiducia cieca in qualcosa che non riusciamo ancora a vedere e toccare con mano, a maggior ragione quando chi ci dice di avere fiducia ci indica una via apparentemente impraticabile (*). Ma quando si è capaci di abbandonarsi ciecamente ad una persona ad un' idea o anche a una propria certezza interiore ecco che tutto inizia a prendere una via ben precisa, fino a quel momento difficile anche soltanto da pensare.


(*)
Ma subito Gesù parlò loro: "Coraggio, sono io, non abbiate paura". Pietro gli disse: "Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque". Ed egli disse: "Vieni!". Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: "Signore, salvami!". E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?"

Mt 14, 27-31

venerdì 25 maggio 2007

Entanglement

E' già difficile soltanto immaginare che una cosa è connessa con tutte le altre e sapere che ci sono delle evidenze scientifiche che in un certo qual modo lo confermano fa una certa impressione. L'entanglement è una proprietà della materia scoperta ai primi del novecento, il matematico israeliano Amir D. Aczel in un suo libro lo definisce "il più grande mistero della fisica moderna", in italiano il termine può essere tradotto con "aggrovigliamento". Con l'avvento della meccanica quantistica fenomeni prima impensabili diventano probabili soluzioni a problemi altrimenti irrisolvibili con le precedenti conoscenze della meccanica classica.
Se vuoi capirci più di me puoi iniziare visitando questa pagina, ma semplificando all'essenziale il concetto è indispensabile descrivere l'esperimento che ne ha dato la definitiva conferma chiamato: "Paradosso di Einstein-Podolsky-Rosen (paradosso EPR)". Con questo esperimento si è riusciti a dimostrare che quando due particelle sub-atomiche vengono generate da uno stesso processo o che quando queste si siano trovate in interazione reciproca per un certo periodo, tali particelle rimangono in qualche modo legate indissolubilmente (entangled), nel senso che quello che accade a una di esse si ripercuote immediatamente anche sull'altra, indipendentemente dalla distanza che le separa. Ne deriva che una misura eseguita su una parte del sistema quantistico (una delle due particelle) può propagare istantaneamente un cambiamento sul risultato di un'altra misura, eseguita successivamente su un’altra parte dello stesso sistema quantistico (l'altra particella), indipendentemente dalla distanza che separa le due parti.
Questo effetto viene chiamato "azione istantanea a distanza" ed è incompatibile con la fisica classica, che considera la velocità della luce la massima velocità alla quale può essere accelerata una massa.
Come lo si spiega? Attualmente l'unica ipotesi avanzata dai fisici è che lo spazio come lo intendiamo noi è solo un illusione, una specie di scherzo della prospettiva dovuta al punto in cui noi ci troviamo e dal quale osserviamo le cose. Questo perchè in nessun modo una particella subatomica può emettere un qualche segnale che sia talmente potente da attraversare tutta la Terra (ma nulla ci vieta di allontanare ancora di più le due parti) e far cambiare lo stato di un' altra particella, e ciò non avviene dopo una frazione di secondo come ci si potrebbe aspettare se un ipotetico segnale viaggiasse alla velocità della luce, ma istantaneamente, segno che non c'è nulla che parte e nulla che arriva. La cosa si fa più accettabile se invece si considerano le due particelle in realtà ancora legate fra loro, come fossero un tutt'uno anche se non connesse dal punto di vista spaziale.
Quando si pensa alle ripercussioni che potrebbe avere questo fenomeno sulla vita di tutti i giorni si rimane spaesati! Ovviamente in nessun modo questo fenomeno che si verifica a livello sub-atomico influenza eventi che avvengono nella scala macroscopica, ma chi può dirlo, come lo si potrebbe dimostrare? Può darsi che pur non essendoci una relazione diretta pur tuttavia a livello macroscopico avviene qualcosa di simile, tra due persone o tra due cose che hanno interagito per lungo tempo.
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martedì 22 maggio 2007

L'albero silenzioso

C'è un piccolo detto zen che dice così: Un albero che cade in una foresta deserta, fa rumore?
Le cose che fanno rumore lo fanno sempre o solo quando c'è qualcuno ad ascoltarle? Un esperimento riesce a confermare una certa teoria quando ad ottenere quel risultato è una sola persona o quando questo è perfettamente riproducibile da chiunque? Il metodo scientifico si basa proprio sulla riproducibilità di un esperimento se questa non sussiste, le deduzioni che si possono trarre da quei risultati non si prendono neanche in considerazione. Così per estremo si arriva a pensare che se un fatto non viene "registrato" da nessun individuo ne ora né dopo, allora potremmo dire che questo probabilmente non è mai successo, o forse è successo ma nessuno potrà mai parlarcene nel dettaglio.
Abbiamo sempre la necessità di condividere quello che succede a noi con chi ci sta accanto, forse è un modo per dare valore alla nostra esistenza come se le cose che ci capitano, i pensieri che facciamo siano più reali quando vengono osservati anche da un altro individuo. Come se la realtà fosse un intricata rete di fatti e oggetti fittamente interconnessi fra loro e tutto ciò che non ne prende parte sfuma nell'irreale. La psicologia ci da anche una controprova; quando vogliamo rimuovere un fatto traumatico la prima reazione è quella di non volerne parlare con nessuno, la seconda è di smettere di richiamarlo alla memoria perché così si evita di riviverlo col pensiero cosa che provoca le stesse sgradevoli sensazioni fino a quando scompare definitivamente come se non fosse mai successo.
Ecco perché ci si attacca con tutte le forze alla memoria di un evento particolarmente significativo. Le ricorrenze nazionali come può essere la liberazione da una dittatura, è un buon modo per dire che un giorno è successa una cosa che ci ha cambiato così tanto la vita che noi onoriamo ancora quelle persone che hanno permesso il cambiamento, cercando di mantenerle ancora in vita nel nostro ricordo.
A livello personale, spesso per pudore si è restii a esternare i propri sentimenti, ma quando si sente che questi possiedono una certa forza e persistenza non si vede l'ora di esternarli è viverli alla luce del sole come per volergli dare la massima concretezza e dignità, come se diventassero reali solo quando qualcun'altro può osservarli e toccarli con mano.
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venerdì 18 maggio 2007

Zucche vuote

Qualche tempo fa ho letto una metafora che mi ha fatto molto riflettere; diceva che la realtà che ci circonda è solo la proiezione della luce di una candela posta all'interno di una zucca vuota. Si potrebbero dare due tipi di interpretazione, la prima ha a che fare col cognitivismo, una disciplina che studia come si forma la conoscenza e coscienza di se stessi e del mondo che ci circonda. Se è vero che i nostri sensi ci ingannano, basta pensare alle illusioni ottiche, allora non possiamo avere la presunzione di conoscere esattamente cosa ci sia "là fuori", cosa stimola in realtà i nostri sensi. Detto ciò si potrebbe arriva a pensare che la nostra mente, la candela, produce una luce, il pensiero, che filtrata dai nostri sensi, la zucca, poi produce la realtà come la conosciamo; nient'altro che quel gioco di luci ed ombre che poi si proietta sui muri. Ma è una interpretazione fin troppo filosofica ed astratta per i miei gusti e a questa ne preferisco un'altra molto più concreta.
La mente produce il pensiero e questo produce la realtà, è un concetto molto facile da osservare, quasi banale se ci riferiamo al pensiero creativo. Immagina il mondo interiore di un artista, immagina cosa poteva passare per la testa di Van Gogh, nella sua vita ha imparato a dipingere ed è riuscito ha trasformare i suoi pensieri in realtà, una realtà concreta fatta di colori e figure su una tela che chiunque può osservare, lo può fare in maniera distratta con uno sguardo superficiale oppure può contemplarla per ore magari lasciando che quell'immagine trasmetta delle emozioni forse simili a quelle che ha provato l'autore quando soddisfatto si è reso conto d'aver tirato fuori quello che aveva in mente. Immagina in che modo l'opera di uno scultore può colpire i nostri sensi; la vista e il tatto, farsi catturare da un' opera d'arte vuol dire interagire con quei pensieri di un'altra persona che si sono trasformati in realtà.
Ma non vale solo per l'arte, chiunque abbia pensato di realizzare un ponte, piantare un albero, iniziare a scrivere un blog, corteggiare una ragazza; proiettando quei pensieri al di fuori della sua mente forse adesso li ha resi così concreti che ha dato la possibilità ad altri uomini di attraversare un fiume, godersi l'ombra di un grandissimo bosco, condividere le proprie emozioni con milioni di persone e far intenerire dei passanti di alla vista di un bambino che muove i suoi primi incerti passi sotto lo sguardo amorevole di sua madre.



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mercoledì 16 maggio 2007

Terzo occhio

Quando le primissime forme di vita acquatiche probabilmente striscianti su fondali poco profondi cominciarono a sviluppare un sistema nervoso capace di reagire agli stimoli esterni, il primo fra questi stimoli fu probabilmente la luce. Dove doveva trovarsi un "sensore di luminosità" per essere funzionale? Sicuramente in una zona del corpo in cui questa poteva stimolarlo. Fu così che, sempre in via ipotetica (parliamo di centinaia di milioni di anni fa!) un gruppetto di cellule nervose dell'encefalo acquisì la capacità di comunicare a quelle adiacenti la presenza o meno di uno stimolo luminoso, per quei primitivi organismi fu la luce, dato che riuscivano a distinguerla dal buio. Ovviamente tutto ciò diede loro un vantaggio così schiacciante su tutti gli altri che queste prime forme di vita "fotosensibili" alla fine prevalsero su tutte le altre, le quali rimasero relegate nelle pochissime nicchie in cui la luce non arrivava mai e quindi non avrebbero tratto alcun vantaggio da questa capacità.
Passano i milioni di anni e quel gruppetto di cellule nervose si specializzano sempre di più, cambiano posizione, diventano più efficienti e capaci adesso di distinguere non solo la presenza di luce ma anche diverse sue caratteristiche (colori e intensità), diventano dei veri e propri organi indipendenti.
Gli occhi come tutti gli altri recettori sono le estremità con cui ci colleghiamo al resto del mondo, ma fra queste estremità e "noi" la nostra coscienza "il nostro mondo" c'è il cervello, non sbagliamo se diciamo che noi in fondo vediamo col cervello, le immagini non sono quello che ci circonda ma la rielaborazione che il cervello fa della miriade di stimoli luminosi che provengono dai nostri occhi in ogni istante della nostra vita.
Che fine hanno fatto quel gruppetto di cellule nervose, il vecchio arcaico occhio che si trovava sull'estremità di un primitivo encefalo? E' ancora lì, l'abbiamo chiamata ghiandola pineale o epifisi, ha perso la capacità fotosensibile ma si interessa ancora di luce e buio perché quando gli occhi comunicano oscurità la pineale secerne la melatonina un ormone che fra le tante cose è anche capace di regolare il ciclo sonno-veglia. Senza saperlo nel centro del nostro cervello c'è un "terzo occhio" come l'hanno definita gli indù moltissimi secoli fa pur senza conoscerne le reali funzioni e chi lo sa se è solo un caso che il filosofo Cartesio ha definito la pineale come il punto di contatto fra le cose pensate e le cose esistenti, res cogitans e res extensa.
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lunedì 14 maggio 2007

Sui tram di Praga

Il piccolo cane, incurante delle continue frenate e ripartenze del mezzo, accompagnate sempre da un frenetico via vai di passeggeri distratti, continuava il suo mestiere; attirare l'attenzione di qualcuno disposto a concedergli qualche carezza.
Il turista, entusiasta di quella scenetta in brevissimo tempo sfodera tutto il suo armamentario di dispositivi con i quali cerca di catturare alla meno peggio ciò a cui assiste. La tattica è semplice, dapprima si avvicina ai piedi della vittima delle sue avances, quindi lo chiama con qualche mugolio, se va bene il passeggero si volta giù e a quel punto inizia lo scodinzolio e i segni di sottomissione strappa carezze, quando il malcapitato esaurisce la sua pazienza il cane non si perde d'animo e si dirige verso un' altra vittima.
La sua padrona, un'anziana signora seduta all'angolo circondata dalle borse della spesa è l'unica che assiste con sguardo severo il suo cane importunare l'ennesimo turista, tutti sorridono ma lei impassibile evita gli sguardi compiaciuti dei presenti. Un momento prima della sua fermata l'anziana signora raccoglie tutte le borse che incredibilmente riesce a trasportare con entrambe le mani, quindi farfuglia il nome che richiama l'attenzione del cagnolino il quale con uno scatto improvviso lascia il tram riuscendo a precedere la padrona nella discesa.
Lo spettacolo è finito, videocamere e fotocamere ritornano a puntare al di là dei finestrini dove scorre una città elegante, facciate di palazzi decorate a tinte pastello e bianco, larghe strade con un traffico intenso ma disciplinato. Sullo sfondo in un altopiano che domina Praga; la vecchia cittadella, un imponente muro di cinta che protegge il castello reale, la grande cattedrale di San Nicolò e un piccolo borgo medievale.
Il tram attraversa la Moldava, in prospettiva gran parte degli altri 15 ponti che collegano i diversi quartieri della città spezzata in 3 zone dal largo fiume. Ogni quartiere ha il suo giardino che sia un parco con qualche piccolo curato roseto o un bosco di quercie secolari, il verde predomina sull'asfalto in ogni angolo della città. Questa nel suo complesso riesce a trasmettere ai visitatori un senso di quiete e di ordine; saranno gli spazi verdi, forse il lento austero fiume che spezza la frenesia delle strade oppure qualche altro dettaglio che non si riesce a individuare.



giovedì 10 maggio 2007

L'ultimo volo del Concorde

Il Concorde fu un aereo tutt'altro che perfetto, ma nonostante i suoi difetti, parzialmente corretti con lo sviluppo tecnologico avvenuto nei suoi trent'anni di carriera non è stato mai coinvolto in nessun incidente mortale, fino al giorno del suo ultimo volo.
Il 25 Luglio del 2000 dall'aeroporto di Parigi Charles de Gaulle alle ore 16.40 decollava il volo Air France AF 4590 diretto a New York; a bordo 96 tedeschi, 2 danesi, una persona di nazionalità austriaca ed una americana più nove membri dell'equipaggio francesi. La procedura di decollo dopo la una lunga check-list prevede la portata a regime dei quattro reattori al 100% della loro potenza quindi il rilascio dei freni e raggiunta la velocità di 210 mph (circa 350 Km/h) la rotazione del muso di 15° con conseguente distacco dal suolo.
Dopo una manciata di secondi dal rilascio dei freni l'aereo raggiunge la V1 ovvero la velocità critica oltre la quale non è consigliabile fermare la corsa, è il punto di non ritorno che obbliga l'aereo al decollo nonostante un eventuale problema tecnico. E' proprio subito dopo questo punto che la torre di controllo allarma il pilota di una inconsueta scia di fuoco uscire da uno dei motori.
I motori del Condorde sono dotati di post-bruciatore, dei dispositivi che iniettano il combustibile in una camera terminale in prossimità degli ugelli del reattore per far si la spinta prodotta, come anche il consumo, aumenti enormemente, è l'unico sistema per spingere un aereo a velocità supersoniche. Il pilota dovrebbe attivare i post-bruciatori diversi minuti dopo il decollo era quindi evidente che la scia di fuoco vista dalla torre tradiva un grave malfunzionamento di uno dei quattro motori. Il pilota rispose che aveva superato la V1 ed era costretto al decollo, avrebbe seguito la procedura standard: raggiungimento di una quota di sicurezza, scaricamento di gran parte del combustibile e ritorno a Charles de Gaulle per l'atterraggio d'emergenza. Dopo pochi secondi quell'ultima comunicazione le estreme disperate manovre di Christian Marti l'esperto comandante francese, non furono più sufficienti a tenere in volo l'aereo ormai in fiamme; poi lo schianto su un albergo nei pressi dell'aeroporto.
Seguirono le approfondite indagini dell'Air France e si appurò che anche questa volta, come nel 90% degli incidenti aerei, la causa andava attribuita all'errore umano, questa volta condito da una incredibile sequenza di concause.
Le indagini si concentrarono per prima su un evento ben noto e documentato, pochi minuti prima del decollo infatti una squadra di manutenzione aveva sostituito un pezzo del motore con un altro usato. Il Concorde non era in produzione ormai da anni e mancava il pezzo di ricambio, ma si pensava di farlo partire comunque senza riparazione in base a una «tolleranza tecnica autorizzata dal costruttore». Tenendo però conto che il velivolo avrebbe viaggiato a pieno carico, il comandante aveva preteso la sostituzione del pezzo, prelevato da un Concorde di riserva. La riparazione è stata effettuata in 30 minuti, un lasso di tempo che fra l'altro aveva ritardato di un'ora il decollo.
Ma niente faceva pensare che la sostituzione fosse fatta con imperizia o con l'utilizzo di ricambi inadeguati.
Anche l'ipotesi dell'esplosione di uno pneumatico durante il rullaggio fu presa in considerazione. Gli ingegneri del progetto originario avevano previsto una robusta struttura del carrello tale da non creare gravi inconvenienti nel caso dello scoppio degli pneumatici, particolarmente sollecitati in un aereo come il Concorde. E in effetti durante i test in cui si simulò l'evento tutto filò liscio e il Concorde riusciva perfino a decollare e atterrare senza due pneumatici. Con gli anni si vide però che la cosa succeva sempre più spesso, almeno 50 volte durante i 30 anni di carriera, così di recente si realizzarono degli pneumatici molto più robusti e inevitabilmente più pesanti, purtroppo questo non servì, anzì peggiorò la situazione.
Nella pista in cui decollò il 4590 si trovo un grosso frammento di pneumatico pesante 5 kg e a poca distanza una lama di metallo e numerosi rivetti. La lama e i revetti erano di un vecchio DC-10 della Continental decollato qualche minuto prima arrivato regolarmente a Boston senza una buona parte di rivestimento esterno di un motore! Ma se questo non causo problemi a Dc-10 li causò, e anche seri al Concorde che vi passo su a 330 Km/h causando il danno avvertito distintamente anche dai piloti come si scoprirà dalla scatola nera. Quando si fece il collaudo iniziale circa l'eventualità di una esplosione di pneumatico al decollo ovviamente si studiarono gli effetti dei detriti sulla fusoliera, ma si stimarono come poco significativi perchè così era. Ma adesso con degli pneumatici più pesanti servivano studi più approfonditi sulla dinamica di un eventuale esplosione. Secondo la ricostruzione più accreditata i detriti più pesanti ebbero due effetti molto gravi,:tranciarono i cavi elettrici che comandavano i meccanismi del carrello e questo lo si evinte dal preve filamto amatoriale in cui si nota distintamente una gamba del carrello rimasta fuori. Inoltre il forte urto sulla faccia inferiore della grande alta a delta completamente piena di carburante creò una qualche crepa o molto più probabilmente fece cedere il tappo di rifornimento a causa proprio del forte contraccolpo che ricevette il serbatoio. Il carburante uscendo copioso e riversandosi sulle scintille del carrello fece tutto il resto.
Nonostante un fallimentare tentativo di ripresa dei voli nel Ottobre del 2001 quell'incidente ha sancito la condanna a morte per un velivolo non più redditizio; non producendo poi nuovi modelli e men che meno nuovi ricambi per tenere in volo i velivoli ancora in linea era inevitabile che l'efficienza di questi ultimi veniva compromessa, e così fu.
Anziché ritirarsi con l'onore che meritava, il glorioso Concorde primo e unico aereo supersonico civile, che prima di quel giorno aveva trasportato in sicurezza milioni di passeggeri, chiuse i battenti nel sangue di 113 vittime.



domenica 6 maggio 2007

Chi merita e chi non merita

Mi rendo conto di quanto sono piccolo e limitato tutte le volte che sento il mio pensiero escludere qualcosa.
Senza rendermene conto sto incessantemente allungando una specie di lista di "buoni e cattivi" fra tutte le cose che mi passano davanti. Quando leggo ci sono parole che meritano la mia attenzione e altre che non la meritano, quando studio concetti che meritano d'essere memorizzati e altri no, canzoni, film, libri.. decido arbitrariamente cosa fa per me e cosa no, cosa mi interessa e cosa no; ma come potrei essere oggettivo se prima non ho fatto esperienza "di prima mano"? E' come quando un bambino decide che una certa pietanza non gli piace e sua mamma gli chiede di assaggiarla prima di rifiutarsi.
Poi ci sono le odiose disparità che faccio con la gente, alcuni meritano la mia pazienza altri no, alcuni il mio affetto altri no, l'impossibilità di voler bene a tutti di un affetto incondizionato è il limite che dovrebbe farmi stare coi piedi per terra perchè il contrario è solo un'utopia un miraggio che mi sembra a portarla di mano ma che forse non raggiungerò mai.
Non posso pretendere di avere una pazienza infinita o un affetto così grande da estendersi a tutti quelli che incontro o una curiosità tale da voler imparare tutti i libri che mi capitano sotto lo sguardo o di voler risolvere da solo tutti i problemi del mondo, per il semplice fatto che sono "finito" ho una intelligenza finita una capacità d'amare finita e una forza fisica finita e vivo una vita che ha una durata finita e devo imparare ad accettarlo se non voglio passare il resto dei miei giorni affetto da tutte le nevrosi che ne conseguirebbero.
Sapere che non si è niente di eccezionale che non siamo capaci di miracoli è un buon punto di partenza che può invogliarci a darsi maggiormente da fare oppure a farci cadere nello sconforto.
Mi resta il desiderio di chiedere scusa a tutte le persone verso cui non sono stato paziente, a quelle che avevano bisogno di essere ascoltate, a tutte quelle che ho trattato con sufficienza pensando che non avevano niente da insegnarmi, agli scrittori che non ho mai letto che m'avrebbero dato un punto di vista diverso da quello a cui sono abituato e a tutte le cose di cui mi sono privato per la pigrizia e la bassezza di chi pensa a coltivare sempre il proprio orticello fatto di cose piccole piccole e chiude gli occhi alla bellezza del diverso.
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sabato 5 maggio 2007

Il turista

Scoprire abitudini e stili di vita di terre lontane dalla nostra dà una soddisfazione così forte da spingere ogni anno milioni di persone a fare lunghi e costosi viaggi pur di raggiungere la meta sognata. Quasi sempre mi succede che mettendo piede in quella certa città che volevo visitare la prima impressione sia quella di spaesamento, forse dovuto alla differenza fra l'idea che mi ero fatto e la realtà che mi trovo di fronte. E a questo punto che inzia il bello; inizia la scoperta di ogni cosa e nuove esperienze metteranno in discussione le vecchie convinzioni.
Ma per conoscere pienamente un luogo e le persone c'è un passaggio obbligato che è quello di vivere come quella gente che lo abita, dal cibo alla musica, dalla comprensione della lingua ai ritmi di vita e più cose si scoprono più ci si sente grati a quella gente che è stata tanto ospitale e forse anche disponibile a farsi mettere sotto la nostra lente di ingrandimento. 
Ci sono anche i pessimi turisti, gli opportunisti a cui non importa nulla di conoscere persone diverse ma si spostano solo per ricavarne un vantaggio di qualunque tipo e in questo caso non c'è desiderio di conoscenza, non c'è curiosità, non c'è la voglia di immedesimarsi ma solo egoismo e avidità che li spingono a ottenere ciò che vogliono nel più breve tempo possibile.
Anche nelle relazioni personali si può scegliere di fare il turista egoista e pretendere di ottenere dall'altro tutto e subito, oppure esploratori capaci con rispetto e pazienza di entrare in punta di piedi nella vita e nel pensiero della persona che si vuole scoprire, godendo di tutti i momenti che vengono concessi, senza esigere nulla di più. Quando il rapporto è consolidato da anni di conoscenza si smette di considerare l'altro come terra inesplorata e di sentirla come casa propria, e forse è per questo che fare nuove conoscenze è un desiderio molto comune e in fondo leggittimo tanto quanto quello del viaggiare.
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mercoledì 2 maggio 2007

Arrocco

Sentirsi vulnerabili può essere per molti una situazione di disagio, la possibilità di un pericolo imminente, la paura di essere attaccati, la consapevolezza che c'è un nemico che se vuole può farti fuori in qualunque momento, sono pensieri a volte inaccettabili. A scacchi chi si sente vulnerabile abusa della mossa dell'arrocco fin dalle prime fasi della partita; un modo per mettersi al sicuro, ma che è solo un'illusione visto che questa mossa non scongiura lo scacco matto ma semplicemente complica la vita all'avversario che deve sudare parecchio prima di aggirare le difese di tre pedoni e una torre a custodia del re.
Io sto quasi perennemente in arrocco, ma nonostante questa "precauzione" sento che questo non mi rende totalmente immune dai pericoli e inattaccabile da qualunque offesa, ci sono sempre un paio di cose verso cui "ogni tanto" mi ricordo di essere vulnerabile. Oggi è stato il sentire la mancanza di una persona, sentire che si sarebbe potuta passare una giornata indimenticabile, osservare compiaciuti che capita ancora di conoscere qualche ragazza per cui vale la pena mettere giù le armi e rendersi vulnerabili pur di attirare l'attenzione di quegli occhi tristi che non si vede l'ora di far sorridere.
Sentire che cose banalissime possono alterare pesantemente il mio umore mi innervosisce perchè è come se fosse bastata la conoscenza di una ragazza per buttare al vento lunghi periodi di rassicurante serenità, tempi in cui l'autocontrollo bastava per farmi sentire invulnerabile a queste cose che non vuol dire insensibile, ma capace di gestirle in maniera razionale senza eccedere o sbilanciarsi da nessuna parte facendo sempre la cosa più logica e opportuna.
Questa notte invece sognerò un abbraccio, al risveglio sarà come se mi mancasse qualcosa di essenziale per la mia serenità e forse per rimediare mi inventerò qualcosa che non sarà proprio la più logica nè la più opportuna.