venerdì 29 giugno 2007

Approccio finale

Per un treno, arrivare a destinazione vuol dire soltanto rallentare fino a fermarsi approssimativamente in punto prestabilito. L'auto non si muove su una dimensione ma su una superficie a due dimensioni per questo chi sta al volante deve gestire due velocità quella di avanzamento e lo spostamento a destra e sinistra. L'aereo si muove in uno spazio a 3 dimensioni, questo vuol dire che il pilota deve tenere costantemente sotto controllo almeno 3 velocità quella di avanzamento dando più o meno gas quella di imbardata e quella di discesa con cloche e timone.
Il sentiero di discesa va percorso a velocità ridotta in volo planato vale a dire col muso in su in modo che l'aria incontri le ali con una certa inclinazione (angolo d'attacco). La velocità di discesa è di pochi metri al secondo e raffiche moderate di vento laterale possono essere parzialmente compensate col timone anche se questo può voler dire toccare la pista con le ruote non proprio allineate con la linea di mezzeria della pista. Quando viene raggiunta una quota di poche decine di metri la discesa deve farsi ancora più dolce, se non si vuole danneggiare il carrello le ruote devono infatti toccare il suolo con una velocità di discesa massima pari a 3/4 metri al secondo. A 10 metri d'altezza comincia a farsi sentire l'effetto suolo un fastidioso cuscino d'aria che creano le ali quando un aereo viaggia in volo planato a bassissima quota, in questa situazione l'aria che deflettono le ali verso il basso si concentra sul suolo producendo una pressione sulla pancia dell'aereo e dando al pilota l'impressione di stare galleggiando. Per far si che l'aereo scenda ancora quel tanto per mettere le ruote sulla pista spesso occorre proprio farlo stallare a pochi metri d'altezza.
L'impatto è ammortizzato dal carrello composto negli aerei più grandi da sei file di pneumatici montati su un impianto idraulico che isola la fusoliera dalle vibrazioni causate dalle irregolarità della pista, a volte il ritorno di forza è così intenso da far rimbalzare l'aereo a qualche metro d'altezza, cosa che allungherà di molto l'atterraggio, dato che il mezzo deve riguadagnare al più presto il suolo per iniziare la frenata.
Non appena le ruote toccano terra il sistema automatico di frenata inizia ad agire sulle di esse ma anche sulle ali aprendo alla massima angolazione gli aerofreni e in fine sui motori attivando l'inversore di spinta, una sorta di marcia indietro che in alcuni casi è prodotta da una invertita rotazione delle turbine che in questa situazione prenderanno aria da dietro per spingerla avanti; in altri casi si tratta di una coppia di deflettori che si aprono a cucchiaio davanti gli scarichi in modo da curvare il getto d'aria in avanti.
Se ci si rende conto di essere arrivati lunghi avendo poggiato le ruote non proprio a inizio pista oppure si accusa un guasto grave all'impianto frenante i protocolli di sicurezza prevedono sempre la "riattaccata" ovvero la risalita immediata, manovra molto semplice da eseguire che mette al riparo da eventuali impatti al suolo con altri mezzi o con le strutture di sicurezza a fine pista.



Approccio finale di un Airbus A340 dell' Air France nel caratteristico aeroporto di Maho Beech sull'isola di S.Marteen nelle Antille olandesi




Una raccolta di videoclip che rappresentano bene la difficoltà di un corretto approccio finale in presenza di forti venti laterali
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mercoledì 27 giugno 2007

Allineamento

Dopo aver avuto l'autorizzazione all'atterraggio può iniziare il valzer dell'allineamento in caso contrario ci si mette nel circuito d'attesa che di solito è sopra l'aeroporto.
L'allineamento è una specie di danza fatta di virate, allontanamenti e riavvicinamenti al fine di conquistare una rotta di volo che, se idealmente prolungata coinciderà con la pista d'atterraggio. Le virate sono complesse bisogna tenere conto del fatto che possono essere effettuate con un raggio più o meno stretto cosa che alla fine potrebbe dare la sensazione di stare allineati alla pista ma questa in realtà si trova fuori dall'asse di centinaia di metri. Bisogna avere una buona capacità spaziale, il resto lo fa l'autopilota.
L'ILS o instrumental landing system e un sistema di radiofari montato ormai su tutti gli aeroporti civili che serve a segnalare con esattezza il sentiero di discesa migliore, l'autopilota può essere agganciato all'ILS per guidare in automatico l'aereo sul sentiero di discesa; in alternativa si può manovrare manualmente seguendo le indicazioni dell'ILS, che compaiono su un display dell'abitacolo sotto forma di una croce.
Un'altra difficoltà è la bassa velocità e quota a cui vanno compiute queste manovre, velocità che non deve mai scendere sotto un certo limite per scongiurare il rischio di uno stallo che a questa altezza potrebbe avere conseguenze drammatiche.
Per questo entrano in gioco gli ipersostentatori, delle alette che scivolano fuori dalle ali sia sul bordo d'attacco che di uscita con la funzione di incrementare la portanza e permettere di manovrare il mezzo anche a basse velocità. Con la "biancheria stesa" ovvero con gli ipersostentatori completamente fuori e il carrello estratto il tutto comincia a fare una notevole resistenza aerodinamica e non deve sorprendere che bisogna dare molto gas affinché i motori ritornino a spingere con una certa forza.
L'unico serio problema che può far rinunciare all'atterraggio anche il pilota più esperto è il vento che quando si presenta con intense raffiche irregolari è troppo imprevedibile da gestire e spesso costringe a scegliere una pista che abbia il vento a prua (molto meno pericoloso di quello che soffia lateralmente o da poppa) oppure dirottare l'atterraggio su un altro aeroporto, anche se si è avuta l'autorizzazione dalla torre; l'ultima parola spetta infatti al comandante del volo.



Un volo della KLM in circuito d'attesa su Londra. Si possono osservare gli ipersosentatori estratti
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martedì 26 giugno 2007

Avvicinamento

L'atterraggio è un traguardo, l'obbiettivo di uno spostamento, trovarsi in un punto della terra diverso da quello in cui la si era lasciata, è una manovra complicata e pericolosa, la più pericolosa di tutto il volo.
Spesso già a diverse centinaia di chilometri inizia la discesa, i motori che prima erano a regime di crociera vengono portati ad erogare una potenza lievemente inferiore i passeggeri più attenti possono avvertire un leggero cambio della tonalità e un leggero senso di vuoto appena percepibile dovuto al un cambiamento di inclinazione. Quando l'areo perde quota converte l'energia potenziale immagazzinata durante la salita in energia cinetica che comporta un' accelerazione del mezzo che viene per l'appunto compensata da una ridotta spinta dei motori. La discesa è dolce ma l'aereo deve continuare a mantenere la sua velocità in caso contrario i tempi di volo si allungherebbero eccessivamente visto che già gran parte del tempo viene sprecato durante la salita.
L'aria si fa sempre più compatta e densa il sistema di pressurizzazione comincia a compensare cercando di mantenere una pressione interna quanto più possibilmente costante. All'esterno la pressione dell'aria causa una superiore resistenza all'avanzamento e sotto i 4000 metri l'aereo è costretto a perdere anche buona parte della sua velocità per questo entrano il gioco i diruttori o aerofreni, pannelli che si sollevano dalla superficie alare grazie a dei potenti pistoni idraulici, hanno la capacità di ridurre drasticamente la portanza (la forza che tiene l'aereo in volo) in questo modo il velivolo comincia a scivolare giù di pancia in questa situazione il pilota cerca di tenere il muso su e pur riuscendoci in realtà il velivolo e più in una caduta controllata che in volo. Sono molto utili se ci si accorge che la discesa è stata troppo dolce e ci si ritrova ancora molto alti in prossimità della pista, ovviamente l'ideale sarebbe azzeccare il giusto rateo di discesa e non usarli affatto dato che la sensazione del precipitare anche se dura qualche decina di secondi non è molto gradita dai passeggeri.
Ovviamente sono capaci anche di ridurre la velocità cosa molto utile visto che in fase di discesa può succedere che, pur con i motori al minimo l'aero continui ad accelerare a causa di un elevato rateo di discesa, se si ha del tempo da perdere si può scegliere di scendere disegnando una spirale che si avvita verso il basso è un buon sistema per rende la discesa dolce e non allontanarsi troppo dalla pista oppure più frettolosamente si aprono per una manciata di secondi gli aerofreni, la sensazione è proprio quella di una frenata brusca il mezzo riesce a rallentare anche di 500 km/h in meno di un minuto. A qualche decina di chilometri dall'aeroporto iniziano le manovre più impegnative quelle dell'allineamento alla pista.


A quote e velocità elevate l'aria produce una resistenza così forte che il sistema automatico che controlla i comandi impartiti dal pilota sulle superfici alari riduce l'apertura degli aerofreni per evitare che si danneggino
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sabato 23 giugno 2007

Le cure definitive

Osservando come si presentavano i retinoblastomi, si capì la natura genetica dei tumori e si formulò la teoria della "doppia mutazione". Il retinoblastoma è un tumore dell'occhio molto raro con un incidenza di 1 caso ogni 15.000, per di più presenta una incidenza maggiore negli individui in età avanzata ed è quasi sempre monolaterale; nonostante ciò si osservavano alcune famiglie in cui questa malattia si presentava con una incidenza nettamente maggiore e in questo caso il tumore era spesso bilaterale e colpiva in egual misura tutte le fasce d'eta.
Tutto ciò è stato sufficiente per ipotizzare che chi si trova in una famiglia in cui l'incidenza è più alta evidentemente eredità un qualche gene mutato che induce non tanto il tumore ma la predisposizione a svilupparlo, questo perchè alla nascita questi individui hanno due copie del gene una funzionante e una non funzionante ereditata, in questa situazione basta un evento mutante sporadico che colpisce l'unica copia funzionante che la cellula diventa tumorale. In un individuo con entrambe le copie del gene funzionanti è estremamente raro che in una stessa cellula si verifichino due eventi mutanti proprio su due copie di uno stesso gene, per questo è più facile che ciò si verifichi in età avanzata (perchè c'è molto più tempo e perchè i sistemi di riparazione funzionano peggio) ed estremamente raro che ciò si verifichi in entrambi gli occhi.
Adesso sappiamo che il protoncogene Rb codifica per la pRb un regolatore della trascrizione che è capace anche di regolare il ciclo cellulare nel passaggio dalla fase G1 alla fase S, quando entrambe le copie sono mutate non viene prodotta più una pRb funzionante e il ciclo passa in maniera deregolata sempre alla fase S provocando una neoplasia.
Cosa mi aspetto che faccia un chemioterapico veramente efficiente e che non danneggi le cellule sane? Sicuramente che ripristini la regolazione del ciclo cellulare delle cellule tumorali, si può pensare di ripristinare una copia del gene sano ad esempio, si chiama terapia genica e siamo ancora molto indietro in questo campo, si tratterebbe di introdurre del materiale genetico da noi corretto solo nelle cellule tumorali e farlo includere nel nucleo dove può essere espresso e produrre così la proteina sana.
Oppure si può pensare di progettare una molecola che in qualche modo elimini la disfunzione legandosi soltanto alla proteina mutata sperando che questo basti se non per far morire la cellula quanto meno a bloccarne la sua proliferazione. Ma per fare ciò dovremmo sapere esattamente come funziona questa proteina e con quali altri complessi interagisce. Altra prospettiva può essere quella di indurre l'apoptosi o la necrosi attraverso un chemioterapico sfruttando una qualche differenza a livello di recettori di membrana nelle sole cellule tumorali, le controindicazioni di una simile chemioterapia sarebbero pressoché nulle, dato che in questo modo il chemioterapico entrerebbe soltanto nelle cellule tumorali mentre quelle sane non subirebbero alcun danno.
Non sono prospettive fantascientifiche ma soluzioni concrete a cui molti ricercatori stanno lavorando e con i passi da gigante compiuti negli ultimi 10 anni dalla biologia molecolare i primi risultati si cominciano a vedere. Nel 2001 finalmente è stato messo in commercio il primo chemioterapico di nuova generazione chiamati a target o biologici, si chiama Glivec o imatinib, la sua scoperta fece gridare al miracolo dato che prima d'allora tumori come le leucemie mieloidi croniche che presentavano una pessima risposta alle terapie tradizionali dopo trattamento col Glivec si otteneva una guarigione definitiva nel 96% dei casi, mentre gli effetti indesiderati si limitavano a una lieve sensazione di nausea e lieve tossicità epatica, come gran parte dei farmaci assunti per via orale del resto. Ovviamente neanche a dirlo la Novartis cercò in tutti i modi di fare quanti più utili possibili brevettando in tutto il mondo la sua molecola cosa che ha causato lunghissime battaglie legali ad esempio in India dove lo stato si rifiuta tutt'ora di pagare i diritti per un farmaco salva vita.
Perchè funziona così bene e perchè ahimè non funziona con altri tumori? Semplicemente perchè la molecola imatinib inibisce la funzione biologica (fosforilazione di una tirosina) solo e soltanto della proteina mutata legata a quel particolare tumore, in questo modo le cellule tumorali smettono di comportarsi come tali e riassumono le normali caratteristiche fisiologiche. Ai tempi questi risultati si ottennero quasi per caso mentre una successiva ricerca svelò i meccanismi d'azione, ma adesso si conoscono la stragrande maggioranza dei meccanismi biologici che causano tumori e la ricerca in questo campo è così evoluta che ormai è solo una questione di tempo forse ci vorranno altri cinquanta o cento anni ma non c'è più nessun ostacolo affinchè si elaborino le strategie più efficaci e mirate per la realizzazione di farmaci capaci di curare in futuro una malattia oggi tanto temuta come fosse una qualunque banale influenza.







La nuova generazione
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mercoledì 20 giugno 2007

Dividi et impera

Individua con precisione i nemici, fai in modo che non si organizzino, separarli dagli amici, colpisci con tutta la forza che hai. Già gli antichi romani, duemila anni fa avevano capito che queste sono le regole più semplici per vincere una guerra. Allo stato attuale anche il più efficiente e moderno chemioterapico ignora le prime tre regole eseguendo solo l'ultima e come sa bene chi conosce gli effetti indesiderati della chemioterapia le conseguenze sono spesso pesanti, per fare un paragone potremmo dire che è come voler vincere una guerriglia cittadina usando una bomba atomica. Il veleno che si usa è così potente e così poco selettivo che il dosaggio è una questione che richiede la massima cura e precisione.
Nel nostro corpo ogni giorno vengono uccisi milioni di cellule tumorali è un sistema molto efficiente e selettivo; dato che la deregolazione del ciclo cellulare porta al tumore e alla morte certa dell'intero organismo, la natura ha prodotto degli ottimi meccanismi di autoregolazione interni alla cellula, i quali sono capaci di funzionare fin tanto che qualche agente mutageno non vada a danneggiare i geni che codificano proprio queste proteine di autocontrollo.
Si sa benissimo da anni che il tumore è una malattia genetica e la ricerca si dovrebbe concentrare non tanto alla scoperta del veleno citotossico più potente ma al blocco di quella particolare via biomolecolare "inceppata" che ha indotto le cellule a diventare tumorali; pur tuttavia da anni i tumori si combattono con un mezzo inadeguato e ci si affida ad esso per il semplice fatto che è l'unico che abbiamo. Poi a voler pensar male ci sarebbe un altro motivo; le case farmaceutiche sono delle lobbies potentissime che muovono ingenti quantità di denaro se aggiungiamo che queste speculano sulla vita di milioni di persone tutte le volte che mettono in commercio un farmaco salvavita qualcosa mi dice che l'obbiettivo finale non sia la salute dei pazienti ma il denaro che questi sono disposti a sborsare pur di guarire.
Ovviamente è da irresponsabili sparare a zero sui chemioterapici perchè fin tanto che restano il migliore mezzo che abbiamo siamo obbligati ad affidarci a queste cure ma questo non vuol dire che dobbiamo accettare passivamente tutto quello che ci dicono di prendere senza sapere spesso neanche come funziona; può sembrare assurdo ma a volte succede anche questo: si scopre che una certa molecola è in grado di uccidere le cellule tumorali in misura maggiore delle cellule sane, così iniziano in trial clinici spesso eseguiti in modo da mettere in maggior risalto i risultati positivi e sempre su pazienti senza speranze che fanno di tutto pur essere inseriti nella sperimentazione di una nuova molecola; e nonostante anni di sperimentazione spesso non si riesce comunque a comprendere a pieno il meccanismo d'azione, semplicemente perchè tutto ciò non fa parte delle priorità di questo tipo di ricerche.
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lunedì 18 giugno 2007

La cellula egoista

Le linee cellulari tumorali di laboratorio vengono definite immortalizzate, può sembrare un appellativo fuori luogo ma in effetti fin tanto gli si danno i nutrienti necessari al normale metabolismo queste sopravvivono senza bisogno di particolari fattori di crescita di cui necessitano quelle fisiologiche e diventano quindi delle cellule "immortali" a tutti gli effetti. Una cellula sana che fa parte di un organismo sano ha una durata della vita ben precisa questo vuol dire che andrà incontro a morte fino a nuovi ordini che gli vengono impartiti da una qualche necessità che la inducono ad ulteriori divisioni cellulari, una cellula tumorale invece andrà sempre incontro a divisioni cellulari sempre più frequenti e repentine e questa ignorerà tutti gli ordini di stop, perchè la duplicazione è diventato il suo unico scopo.
Il primo freno che spesso salta è il meccanismo della inibizione da contatto; nella maggior parte delle specie cellulari succede che, nel momento in cui si trovano in uno spazio molto ristretto, il contatto stesso fra le pareti cellulari di due cellule adiacenti inibisce un ulteriore aumento del numero, nelle cellule tumorali questo meccanismo non funziona più e una massa tumorale sotto la spinta della crescita repentina sottrae così spazio alle cellule sane e ai tessuti adiacenti. Ma per crescere servono i nutrienti e l'ossigeno per questo nelle fasi successive la priorità è quella di irrorare di sangue le cellule più interne della neoplasia che quando raggiunge notevoli dimensioni ha la necessità di un maggior flusso ematico; per questo una parziale necrosi delle cellule interne rilascia un fattore di crescita che stimola l'angiogenesi ovvero la formazione di nuovi vasi sanguigni, dirottando così una ulteriore quantità di nutrienti dalle cellule sane alle tumorali.
Tutto è finalizzato ad accaparrarsi quante più risorse possibili e sottrarle alle cellule sane che eccetto rari casi non possono in alcun modo riconoscere le cellule tumorali attaccarle e combatterle perchè riconosciute come se stesse (auto-self). La distinzione dei tumori in benigni e maligni viene fatta solo in funzione della loro evoluzione e capacità di creare metastasi, se le cellule della neoplasia principale sono capaci di staccarsi e andare a colonizzare un altro distretto e un altro tessuto, durante la diagnosi bisogna prendere in considerazione che forse questo è già successo ma che fin ora non lo si può osservare, tutto ciò rende l'asportazione chirurgica una soluzione sicuramente non definitiva ed efficace al 100%.
Per questo si ricorre ai chemioterapici che non sono altro che dei potenti veleni con attività
citotossiche talmente forti da fare piazza pulita di tutte le cellule che ne hanno assorbito una dose sufficientemente elevata, l'unica specificità che hanno sulle tumorali fa leva sull'unica caratteristica che li contraddistingue dalle cellule sane ovvero l'avidità di nutrienti e l'aumentata capacità di divisione cellulare.
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sabato 16 giugno 2007

Vita e morte

Quando una cellula uovo viene fecondata questa andrà incontro a delle prime grossolane divisioni che produrranno dopo pochi giorni un mucchietto di cellule tutte uguali simile a una mora (morula). Da quel momento in poi le divisioni si fanno sempre più frenetiche e le cellule che ne verrano fuori cominceranno a differenziarsi assumeranno cioè delle caratteristiche diverse rispetto alla cellula che le ha generate e si andranno a sistemare in punti ben precisi dell'embrione. La crescita è esplosiva ma mai incontrollata, ogni regione è sotto la supervisione di fattori di crescita e di differenziazione ben precisi che se necessario inducono le cellule di troppo al "suicidio cellulare" o apoptosi. E' il caso della mano che nelle prime fasi di sviluppo assomiglia più all'arto palmato di un oca mentre in stadi di sviluppo successivi perderà quelle cellule che si trovano tra un dito attraverso questo meccanismo.
Nei primi giorni la maggior parte delle cellule indifferenziate appartengono alla famiglia delle staminali embrionali cellule che hanno la capacità di trasformarsi in qualunque specie cellulare specializzata se sottoposte ai giusti stimoli, è per questo che sarebbero una risorsa preziosa nelle malattie o nei traumi in cui è necessario ripristinare un certo tessuto o una certa lesione, ma è per lo stesso motivo che sono potenzialmente cancerogene dato che è molto difficile dosare la stimolazione in maniera artificiale.
E' curioso pensare che tutte le volte che saltano i sistemi di controllo che regolano la crescita e lo sviluppo di un individuo questi alla fine potranno causare la morte all'intero individuo. Ma è un rischio ben noto e temuto dagli organismi evoluti dato che questi nel corso dell'evoluzione hanno sviluppato dei raffinati sistemi di controllo, che da pochi anni abbiamo cominciando a conoscere nel dettaglio, conoscenze di vitale importanza visto che una loro disfunzione è sempre causa di tumori di varia natura.
Una fra tutti è la proteina p53, definita "la guardiana" del ciclo cellulare che assolve a numerose funzioni, le più importanti e note sono il controllo del materiale genetico con conseguente attivazione di un complesso di riparazione nel caso in cui il DNA della cellula ha subito danni (i danni al DNA sono la principale causa di trasformazione in cellula tumorale) e blocco del ciclo cellulare fin tanto che la riparazione non venga portata a compimento. Attraverso l'interazione con almeno una decina di altri fattori la p53 può fa ripartire il ciclo cellulare o se i danni non solo stati riparati può indurre il suicidio cellulare. E' noto che la metà di tutti i tumori conosciuti sono provocati dalla disfunzione della p53 o di uno dei fattori con cui interagisce.






Le ultime scoperte sulla p53

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venerdì 15 giugno 2007

048

La signora Giovanna va al controllo periodico accompagnata da sua figlia Nicasia, 36 anni tre figli a cui badare e un marito sempre lontano per lavoro. Un anno e mezzo fa qualche giorno dopo il suo settantesimo compleanno la signora durante un controllo di routine scopre di avere un tumore al fegato da allora segue la normale serie di cocktail chemioterapici per cercare di ridurlo prima di tentare una difficile asportazione. Finché c'è una cura c'è la speranza di guarire, ma quando la cura viene percepita come più dannosa della malattia stessa la fiducia nei medicina e nelle sue capacità cominciano a vacillare.
Il nostro sistema sanitario nazionale prevede una serie di codici con cui si classificano tutti i pazienti che possono usufruire di una esenzione a causa della patologia di cui sono affetti, 048 è il codice assegnato alla signora Giovanna. Il tumore è l'ultimo dei problemi di cui ci dovremmo preoccupare, non è la prima causa di morte nel mondo intero e neanche nella frazione industrializzata, eppure si investono ingenti risorse per la ricerca di una cura, forse perchè così come per l'AIDS resta forte il senso di sconfitta che si prova di fronte a una malattia che ancora in alcuni casi può essere realmente definita incurabile. Viene chiamato il male del secolo ma probabilmente è la più antica malattia che si conosce e quella più "democratica" che colpisce tutte le forme di vita animali e vegetali, questo perchè le cause che la generano sono strettamente legate alla vita stessa e alla sua regolazione.
In resti ossei di uomini preistorici sono stati trovati strani ingrossamenti che non lasciano dubbi, così come anche in fossili vegetali, si individuano spesso segni di masse tumorali. Tutto inizia quando le forme di vita unicellulari interagiscono fra di loro per organizzarsi in un organismo pluricellulare, in questa situazione è necessario che ogni cellula si comporti in maniera coordinata per il bene dell'intero organismo, quando anche una sola cellula smettere di fare in bene comune e inizia ad assorbire nutrienti al solo scopo di duplicarsi, le altre hanno pochi mezzi con cui difendersi dato che questa non verrà percepita come estranea e dannosa.
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mercoledì 13 giugno 2007

Le persone gentili

Alle quattro e qualcosa del pomeriggio ero perso fra le viuzze sempre più strette di un paesino di montagna e più avanzavo più avevo l'impressione di trovarmi in un imbuto, se prima una macchina l'avevo notata aderente al muro di qualche occasionale slargo della stradina, adesso neanche quella... brutto segno! L'unica cosa che vedo è un vecchietto seduto davanti casa sua che si gode un po' d'aria. Appena passo questo mi fa un cenno con la mano io rispondo al saluto ma dallo specchietto noto che l'anziano anche se a fatica si alza e mi viene dietro farfugliando qualcosa che non capisco; ovviamente andavo quasi più piano di lui, mi fermo sporgo la testa e sento che mi avverte del fatto che la strada è in realtà un vicolo cieco. Non so bene quanta marcia indietro ho dovuto fare e quanto ho sudato durante quella manovra, quello che mi ricordo bene è il sorriso soddisfatto e sdentato dell'anziano come se avesse fatto il gesto più importante della sua vita al parente più stretto che aveva.
Ci sono alcune persone che quanto salutano sorridono di vero cuore, tu ricambi come meglio puoi e a loro non basta perchè ti vengono incontro per stringerti la mano come se fosse una cosa che non vedevano l'ora di fare ed è una stretta di mano che trasmette una stima e un calore che basta e avanza per farmi dimenticare tutto il tempo che ho perso a pensare che difficilmente qualcuno noterebbe la mia assenza.
Ci sono altre persone che di fronte a un gesto gentile dimostrano una gratitudine così grande che si commuovono e sono reazioni che mi fanno capire quando è triste essere avari di gentilezze e quanta aridità si crea se rinunciamo a un piccolo gesto, che spesso non costa nulla oppure costa un piccolo sacrificio che quasi sempre verrà ampiamente contraccambiato.
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