martedì 30 gennaio 2007

Segiolini eiettabili

Il valore che diamo alla vita o più profanamente il valore economico che un esercito da a un pilota ben addestrato, ha spinto i progettisti negli anni '50 a inventarsi qualcosa che rendesse agevole un'operazione che in realtà si faceva già ai tempi della prima guerra mondiale, ovvero lasciare il mezzo in paracadute quando si capiva che la situazione era irrecuperabile. Con l'inesorabile sviluppo tecnologico e l'aumento esponenziale delle velocità di crociera e tangenze di volo (quota massima raggiungibile) il gesto cominciava a risultare un po' "sconveniente" e buttarsi fuori da un aereo che raggiunge anche i 2.000 km/h e 10.000 metri l'altezza equivale a scegliere una valida alternativa di morte, addirittura meno rapida e indolore della disintegrazione causata dall'esplosione di qualche missile o dell'impatto al suolo.
Così qualcuno avrà pensato a mali estremi estremi rimedi: come faccio a portare un pilota fuori da un mezzo che fa un volo di quel tipo, possibilmente vivo e senza significativi traumi? Semplice, gli metto una certa quantità di esplosivo sotto il sedile, il detonatore lo collego a un maniglione sulla sua testa e quando è il momento di squagliarsela lui tira la maniglia e in una frazione di secondo si trova sparato fuori dal mezzo, al resto ci pensano la maschera pressurizzata la tuta anti-g e il paracadute, rischioso? Molto rischioso. C'è qualche possibilità che funzioni? Si! E' incredibile osservare fino a che punto siamo disposti a prendere in considerazione rimedi tanto estremi pur di preservare una cosa che giudichiamo tanto preziosa!
Quando questa cosa è la nostra vita, nulla da obiettare il problema sorge quando il nostro attaccamento ci fa sopravvalutare dei "beni" che in realtà non sono così preziosi come riteniamo e per i quali è ridicolo fare scelte tanto estreme pur di difenderli.




mercoledì 24 gennaio 2007

Indizio n. 3 (Sociologia - Psicologia)

Nelle relazioni umane c'è ancora tantissimo da scoprire e nel modo in cui due persone influenzano le loro esistenze intervengono delle dinamiche difficili da capire, soprattutto quando si tratta di stima e fiducia reciproca. Un ricercatore americano diversi anni fa ha messo in luce con un esperimento che ancora adesso non ha spiegazioni scientifiche soddisfacenti, cosa succede quando un insegnate ripone delle alte aspettative di apprendimento solo su alcuni dei suoi studenti ma non su altri.
Robert Rosenthal dell'Università di Harvard prese in considerazione una scuola (Oak School) con 650 studenti e 18 professoresse. All'inizio dell'anno scolastico fu detto al corpo insegnante una cosa falsa: che un nuovo test sull'intelligenza, assegnato a tutti gli studenti, avrebbe potuto non solo determinare i loro quozienti d'intelligenza ma anche individuare quel 20% degli studenti che in quell'anno scolastico avrebbero compiuto un progresso intellettuale più rapido e consistente.
Dopo lo svolgimento dei test, alle insegnanti furono dati i nomi degli studenti che, stando alle previsioni basate sui test, avrebbero avuto un profitto migliore. Ma in realtà esse furono ingannate, perché i nomi furono presi a casaccio dall'elenco degli allievi. Quindi la differenza fra questo gruppo di studenti e il resto del corpo studentesco esisteva soltanto nelle menti delle insegnanti. Alla fine dell'anno scolastico lo stesso test sull'intelligenza fu assegnato alle varie classi. I risultati? Il gruppo «dotato» dimostrò reali incrementi al di sopra della media nel loro quoziente intellettuale. Per giunta, le valutazioni soggettive delle insegnanti indicarono che questi studenti erano più spigliati, cordiali e intellettualmente curiosi degli altri.
L'unica spiegazione logica porta alla conclusione che le insegnanti pur trattando in egual misura tutti gli alunni e dispensando a tutti i medesimi insegnamenti la sola intima aspettativa nei confronti di quegli alunni falsamente più intelligenti ha prodotto negli stessi un reale miglioramento psichico nei confronti di altri in cui non riponevano le stesse aspettative. Fino a che punto vale questo condizionamento indotto nessuno puo dirlo, mi viene in mente l'effetto placebo, che in alcuni casi più essere molto più efficace del farmaco reale o in tutte quelle situazioni della vita in cui siamo stati giudicati inadatti ad un certo ruolo e poi puntualmeente non siamo stati capaci di smentire chi cercava di discriminarci.
Se veramente noi siamo i fautori dei carismi e dei difetti degli altri è un fatto che a mio avviso ha dell'incredibile e ci responsabilizza nei confronti di chi ci sta accanto perchè, se è vero che io con la stima e la fiducia che ripongo nell'altro produco in lui un cambiamento positivo tanto importante, allora potrebbe essere vero anche il contrario; il disprezzo e la mancanza di fiducia o l'attribuire un certo difetto ad una persona, potrebbe indurla a credere di avere realmente quel difetto e quindi a rassegnarsi e comportarsi in modo da non disattendere anche le nostre aspettative più negative.


"Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno, gareggiate nello stimarvi a vicenda"
Rm 12,10

Perchè meditare

Se si rivolge questa domanda ad un cristiano la si può tranquillamente tradurre dicendo: perchè pregare? Semmai ci si può chiedere perchè fra le tante forme di preghiera un cristiano dovrebbe scegliere, fra le altre anche la meditazione.
La preghiera è dialogo con Dio, un dialogo che può avere svariati contenuti, richieste per se stessi o altri, ringraziamento, pentimento o niente di tutto questo, semplicemente il voler stare in contatto col trascendente la cui presenza s'avverte nei fatti della propria vita, un modo per dire: credo in te e voglio provare a comprendere cosa vuoi che faccia, cosa vorresti che facessi della mia vita, senza chiedere necessariamente qualcosa di esplicito. Credo che la meditazione abbia questo tipo di significato, pur tuttavia bisogna chiedere ai praticanti qual'è il significato che ha per loro tale pratica. Questo perchè, altre forme di meditazione in occidente hanno assunto tutt'altro senso e purtroppo c'è chi ha avuto il coraggio di fare quattrini anche su una pratica tanto elevata dal punto di vista spirituale. Corsi di yoga venduti a caro prezzo che promettono chissà quali miracoli fisici e psichici, sull'onda lunga della moda new age di fine anni '90.
Tutto ciò succede perchè i più sono attratti dai benefici materiali della meditazione, primo fra tutti la riduzione dello stress. Credo che un cristiano che si accosti a questa preghiera debba avere innanzi tutto la consapevolezza che la meditazione che pratica non è un hobby o un esercizio fisico ma una preghiera in tutto e per tutto; se questa ha anche una serie di risvolti positivi è indispensabile conservare la lucidità necessaria per non farsi distrarre da questo tipo di "attrattive" tenendo ben presente che la si pratica non per ricercare qualcosa di materiale come un qualche beneficio fisico o mentale, bensi per fare un incontro, l'incontro con Qualcuno che abbiamo deciso di seguire e di imitare.


"Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa,
si ritirò in un luogo deserto e là pregava."

Mc 1, 35






lunedì 22 gennaio 2007

Quinta tappa: Silenzio

Dobbiamo imparare ad essere severi e indulgenti nello stesso tempo e in egual misura. E' una guerra, i due schieramenti sono la nostra volontà e il pensiero compulsivo, se fossimo troppo duri rischieremmo di scoraggiarci perchè ci peserebbero tantissimo le nostre battaglie perse, ma la forza di un esercito è quella di reagire a una parziale sconfitta e continuare la guerra. Se fossimo troppo gentili, penseremmo di stare meditando in realtà abbiamo già perso perchè le distrazioni hanno preso il sopravvento senza che noi ce ne siamo resi conto. In tal caso è meglio smettere subito perchè stiamo sprecando il nostro tempo e non arriveremmo a nulla.
E' un cammino, magari si fanno tre passi avanti e due indietro, ma di un po' siamo avanzati e possiamo sentirci soddisfatti e perseverare. Quando ci sentiamo deboli riprendiamo in mano le armi e ricominciamo con pazienza; sappiamo qual'è l'arma più efficace, la ripetizione incessante del Nome Supremo, un mezzo potente che ci porterà via via sempre più lontani dai nostri pensieri che adesso si vanno facendo sempre più brevi e rarefatti. E' come se dal centro di un mercato chiassoso ci allontanassimo verso delle vie più silenziose dove le grida dei venditori ormai alle spalle arrivano appena. Non dovremmo da subito pretendere di raggiungere chissà quale silenzio mentale fin dalla prima volta, perchè anche questo stato di parziale quiete è già una conquista importante che potremmo consolidare con la pratica costante.
Ma se avremmo pazienza si può andare oltre in quello che Ballester chiama "ultimo silenzio". Ad un certo punto anche il NS verrà abbandonato, anche lui diventa impalpabile passando da parola ripetuta con forza a semplice concetto:

Ora il NS non è più suono, è presenza. Presenza che va percepita e adorata, non pronunziata e ripetuta. Le parole che Giovanni, il Precursore, rivolge alle folle potrebbero essere quelle che il Nome rivolge al meditante: "Viene uno che è più forte di me" (Lc 3, 16)... "Egli deve crescere, io invece diminuire" (Gv 3, 30). Il Battista annunzia così la venuta del Verbo, mistero che il NS rappresenta al di là di ogni concettualizzazione. Questo mistero che la Parola Sacra ci permette di avvicinare sempre di più, ma non in modo troppo palese e preciso, è raggiunto nell'ultimo silenzio.

Quando si finisce di meditare si ha proprio la sensazione di ritornare alla vita di tutti i giorni dopo un bellissimo viaggio. E' come se per un istante si fosse avuta la corretta visione di come stanno le cose, come se ci fossimo messi in una posizione privilegiata dalla quale i problemi, le piccole grandi gioie e i dolori quotidiani si vedevano piccolissimi e insignificanti, ma non tutto è perduto. Con la pratica costante si tende ad acquistare una chiarezza mentale che ci sara di grande aiuto anche quando non stiamo meditando, è una cosa che produce in noi maggiore determinazione e sicurezza nelle scelte quotidiane, con le dovute eccezioni infatti è più difficile trovarsi in una situazione in cui non si sa come comportarsi. La meditazione esercita inoltre la nostra pazienza, una virtù che ci tornerà utile anche in altre situazioni della vita quotidiana è la pazienza di chi sa bene che quello a cui aspira è limitato e da certi punti di vista anche inutile.



" Nella tradizione Zen giapponese Mu è il simbolo del nulla, del completo silenzio, dell'assenza di significato logico-concettuale. I maestri Zen hanno talvolta usato questo termine per indicare l'impossibilità di intrappolare nella mente l'intuizione del mistero ultimo."

Mariano Ballester - Verso l'altra sponda


Perchè quella situazione mi ha fatto stare male? Perchè detesto la sofferenza mia e quella che produco agli altri. Cos'è che mi fa soffrire? Non avere una persona da amare e che ricambi il mio amore. Che posso farci? La cosa più difficile, niente! Vale a dire accettare in silenzio il fatto che per il momento Dio vuole che io riceva meno affetto di quello che vorrei, senza autocommiserarsi, senza reagire in maniera spropositata, senza cercare di risolvere sostituendo quello che mi manca con qualcos'altro.

domenica 21 gennaio 2007

Quarta tappa: La rana dispettosa

Uno studio afferma che qualunque frazione di tempo prendiamo in considerazione il 99% dei pensieri che la nostra mente genera sono pensieri già fatti e solo 1% è rappresentato da pensieri "nuovi". Che tipo di pensieri sono questi "pensieri vecchi"? Idee ricorrenti che facciamo deliberatamente perchè producono in noi una certa soddisfazione o appagamento, ma anche pensieri ossessivi riguardanti il nostro passato, cosa avrei potuto dire in una certa situazione e non ho detto, il rammarico per non essersi comportati in un certo modo magari la tristezza d'aver perso quello che si aveva, la tristezza di non essere riusciti ad ottenere quello che si voleva, il piacere che si è provato in una certa situazione e così via; chiunque provi a stare un po' attento a cosa pensa prima di prendere sonno è capace di allungare all'infinito questa lista che ho appena accennato.
Perchè pensare sempre alle stesse cose, ne abbiamo un reale beneficio? Se durante il giorno sarebbe utile essere consapevoli di questi meccanismi mentali, durante la meditazione è obbligatorio raggiungere anche un silenzio mentale che, incredibile ma vero, consiste proprio nell'assenza di pensieri. Come fare? Ci sono un numero enorme di trucchetti ed esercizi, ma quello che ho deciso di seguire è quello suggeritomi da chi ha pensato e insegnato la meditazione che pratico, questo perchè se si decide di seguire una strada la cosa importante è farlo fino in fondo senza deviare e senza prendere scorciatoie magari pericolose. Ballester ci ricorda che il senso di tale meditazione è la contemplazione di un mistero, il mistero di un Dio incarnato, per questo è necessario avere ben presente qual è la meta di questo viaggio o in altre parole verso chi stiamo dirigendo la nostra attenzione.
La ricerca del Nome Supremo, deve portarci alla scoperta di quella parola che più di tutte le altre rievoca in noi l'idea di Dio, ognuno deve trovare la sua e deve conservarla nel proprio intimo come un dono prezioso che possiamo volendo, anche rievocare in tutte situazioni in cui sentiamo, o meglio ci ricordiamo di essere delle creature fragili, indifese e bisognose di cure. Va sottolineato che il NS assume così il significato di fine e mezzo nello stesso tempo, come dice l'autore in "Verso l'altra sponda":
Il Nome è, infatti non solo un veicolo verso la sponda del silenzio, ma anche un indice della crescita interione. All'inizio il NS risuona ben presente nella coscienza del meditante. Egli lo lascia risuonare in sè, sentendolo e assaporandolo e permettendogli di "divenire colmo di famigliarità e tenerezza", come disse un meditante. E' lui il centro della meditazione, che manifesta alla psiche la misteriosa presenza significata nel suo contenuto.
Ci accorgiamo che la ripetizione di tale nome compiuta mentalmente o a voce alta, prende spontaneamente il ritmo della respirazione, non è obbligatorio che sia così, possiamo anche modificare questa frequenza, la cosa fondamentale è restare vigili durante tutto il tempo, questo vuol dire che dobbiamo avere l'accortezza di notare quando altri pensieri hanno interrotto il NS e non è così facile come si possa immaginare. L'errore consiste nell'identificarci coi nostri pensieri, infatti la cosa difficile da realizzare pienamente è che noi non siamo quello che pensiamo ma quella volontà interiore capace di guidare i nostri pensieri sulla giusta strada. Se fossimo quello che pensiamo probabilmente cento volte al giorno saremmo dei ladri, stupratori, assassini, iracondi, non siamo questo perchè abbiamo una forza interiore capace di imporsi sui pensieri peggiori. Ma come non permettiamo che questi pensieri si trasformino in azioni, allora potremmo fare un piccolo passo indietro e sopprimerli direttamente sul nascere.
Ho letto una bellissima metafora che descrive la meditazione come il cammino di chi vuole portare una rana su un piatto da una parte all'altra di una strada. La rana salta e l'uomo pazientemente la riporta sul piatto, ricomincia a camminare e la rana salta dal piatto un'altra volta così l'uomo si china per rimetterla delicatamente al suo posto e così all'infinito fin tanto che l'uomo non riesce ad attraversare la strada.
Il rischio è di identificarsi con una mente indisciplinata o se vuoi con la rana, noi non siamo la rana siamo l'uomo che la mette al suo posto, non siamo la mente indisciplinata, siamo la disciplina. Il pericolo maggiore è quello di fissare così tanto da vicino la rana che quando salta non ce ne rendiamo neanche conto e con lo sguardo la seguiamo nel suo saltellare chissà dove e quando alziamo gli occhi ci accorgiamo che questa ci ha portati lontanissimi dalla nostra meta. Quindi fuor di metafora direi che occorre creare un distaccò forte fra ciò che la nostra mente decide spontamenamente di pensare e ciò che noi ci siamo imposti di pensare, uno spirito disciplinato è capace di mantenere la sua attenzione solo e soltanto dove decide di riporla, sia anche per un breve intenso momento. E nella MPA si decide fermamente di riporre la propria attenzione in Cristo, contemplare il suo mistero e avvertire la sua presenza nella nostra vita, cominciando da questi istanti che con tanto sacrificio cerchiamo di liberarci da tutte le possibili distrazione esteriori e interiori che ci allontanerebbero dalla nostra meta.




Se viviamo un periodo in cui qualcosa di recente ci ha turbati e non si vuole che i nostri pensieri prevalgano durante la meditazione, prima di sedersi è indispensabile capire da dove provengono quelli più forti ed insistenti perchè è il primo passo per liberarsene, analizzare le cause che li generano e cercare di dargli la giusta importanza che nella maggior parte dei casi è nettamente più limitata di quella che gli attribuivamo all'inizio.
Da un paio di giorni la mia mente va insistentemente a una situazione che non sono stato capace di gestire, questo vuol dire che al minimo momento libero quando l'attenzione non è diretta su qualcosa in particolare i pensieri tornano sempre a quella situazione. Tutto ciò produce in me senso di rammarico per non essere riuscito a spiegare ciò che volevo, è il timore d'aver offeso o prodotto sofferenza ad una persona che come tutti aveva già i suoi problemi. E' anche il dispiacere di aver perso definitivamente una buona occasione per approfondire un rapporto che m'avrebbe fatto molto piacere coltivare perchè volentieri avrei investito le mie energie. Non sono ancora riuscito ad attenuare il disagio e probabilmente nei prossimi giorni verrà a farmi ancora visita anche quando andrò a meditare ma almeno so cos'è e da dove viene, è già una prima conquista.

sabato 20 gennaio 2007

Terza tappa: Respirazione

Smettere di muoversi? Impossibile! Per fortuna anche se volessimo non potremmo farlo dato che abbiamo bisogno di un flusso d'aria costante che entra ed esce dai nostri polmoni. A tal fine ci sono diversi muscoli che allargano la gabbia toracica per permettere al sangue di arricchirsi di ossigeno tutte le volte che inspiriamo e che perda l'anidride carbonica quando espiriamo.
Tutto ciò è molto utile in questa fase per due motivi, il primo è che ci permette di porre l'attenzione su un fatto automatico e ritmico che avviene dentro di noi e grazie a ciò abbiamo la possibilità di passare al setaccio tutta una serie di sensazioni su cui forse non c'eravamo mai soffermati prima, che vanno dal freddo alle narici durante l'inspirazione, alla dilatazione del torace e quindi alla contrazione del diaframma che dopo aver compresso le viscere per permettere ai polmoni di immagazzinare l'aria, fanno il lavoro contrario un istante dopo per far uscire l'aria, altre diverse sensazioni adesso di caldo umido alla trachea e alle narici.
Accompagnamo col pensiero il tragitto che fa l'aria, da quando entra nel nostro corpo a quando ci lascia; oppure osserviamo nel suo complesso l'evento, quanto dura, quanto è profondo, quanto è regolare, ma senza tentare di modificarne l'andamento.
Il seconod motivo è legato alla ritmicità; adesso stiamo trasferendo l'attenzione dal corpo alla mente, nella prossima tappa è questa che dobbiamo provare a gestire ed avere un riferimento ben preciso, una cosa su cui soffermarsi è come un ancora di salvezza a cui aggrapparsi per evitare di essere portati alla deriva dalla corrente generata dal costante chiacchericcio interiore. Questo è uno dei mezzi più potenti per tentare di raggiungere anche il silenzio interiore, l'ultima e più difficile tappa.




venerdì 19 gennaio 2007

Seconda tappa: All' ascolto del corpo

Purtroppo non ci si sbarazza tanto facilmente del corpo ma la cosa interessante che succede solo dopo aver raggiunto un perfetto equilibrio, capace di distribuire equamente il peso sulle due ginocchia e sul sedere, è che la nostra attenzione adesso è capace di soffermarsi sui singoli muscoli.
E' ovvio che per mantenere una postura occore che alcuni di essi siano in contrazione, se fossero tutti rilassati staremmo dormendo, e invece occore restare vigili, anzi potremmo dire che la meditazione è proprio questo: attenzione totale al momento presente e cioè l'esatto contrario del sonno, o della distrazione che poi sono quasi la stessa cosa (quando sei distratto ti hanno mai detto: che fai dormi?).
Al di là di questi muscoli essenzialmente quelli della schiena e delle gambe tutti gli altri vanno fatti rilassare, cominciamo dal viso. Fai una scoperta: ti accorgi che alcuni sono contratti senza che tu lo vuoi, quelli della fronte, sopracciglie, zigomi, mandibole spesso sono contratti involontariamente a volte a causa dello stress, causando (oltre che una certa mimica da cane bastonato che ce l'ha col mondo intero) un certo fastidio di cui non ci rendiamo mai conto, anche il mal di testa può essere provocato dalla contrattura involontaria e permanente dei muscoli facciali.
Scendendo, il collo deve stare abbastanza rigido per tenere dritta la testa, ma le spalle forse stanno anche loro contratte, nel momento in cui ce ne rendiamo conto non serve fare molto perchè queste piano piano si rilassano spontaneamente. Gli ultimi aggiustamenti alle braccia per far sì che scendano simmetriche e aiutandoci con queste potremmo capire meglio se la schiena è perfettamente verticale, facciamo tutti gli agiustamenti che vogliamo l'importante è che quando siamo sicuri che è tutto in ordine e rilassato smettiamo di muoverci.

mercoledì 17 gennaio 2007

Prima tappa: La postura

La necessità di mettere il corpo in un certo modo durante la meditazione nasce dal fatto che è una preghiera che va fatta stando immobili, di conseguenza è utile cercare una posizione ottimale fin da subito in modo da mantenerla durante tutta la durata; deve essere comoda ma non troppo perchè si rischierebbe l'assopimento e soprattutto ci deve permettere una respirazione agevole. La scuola yoga descrive centinaia di posizioni diverse per lo più difficilissime da realizzare soprattutto per noi occidentali che siamo abituati fin da piccoli a stare seduti su una sedia con la schiena appogiata.
La postura che scegliamo dovrebbe permetterci di stare con la schiena diritta senza appoggi e il peso distribuito non soltanto sul sedere ma su una superficie più ampia per evitare indolensimenti tipici di chi sta seduto fermo in una stessa posizione per un po' di tempo. La postura classica è quella del loto, praticamente impossibile se non si sono esercitate per anni le articolazioni del bacino e le ginocchie, più accessibile è quella del mezzo loto, si tratta di appoggiare una sola gamba sull'altra; lo scopo è quello di distribuire il peso in parti uguali sulle due ginocchia e sul sedere da appoggiare su un cuscino molto spesso. In questo modo è facile mantenere la schiena diritta cosa indispensabile per evitare eccessivi sforzi muscolari a livello lombare.
Con la testa perfettamente allineata alla colonna vertebrale, le spalle rilassate e perpendicolari alla stessa, le braccia che scendono rilassate sulle gambe e le mani poggiate l'una dentro l'altra di piatto sul ventre si realizza la condizione ideale per dimenticare la pesantezza del nostro corpo, più semplicemente si smette di ascoltare i segnali di disaggio che ci arrivano quando non lo mettiamo in una posizione comoda, un modo gentile per dirgli stai fermo così e non rompere!

lunedì 15 gennaio 2007

MPA

La principale forma di preghiera praticata dalle varie scuole induiste-buddiste è la meditazione. Quando i sacerdoti cattolici si trovarono ad approfondire tale pratica non poterono non trovare delle somiglianze con l'orazione cristiana, una forma di preghiera praticata fin dalle prime comunità cristiane ma poi riscoperta a più riprese dagli ordini religiosi più avvezzi alla pratica conteplativa, primi fra tutti i benedettini, ma anche carmelitani e molti altri.
Oltre a diversi esempi in cui la meditazione viene insegnata ai fedeli cristiani seguendo fedelmente gli insegnamenti della scuola buddista Zen molto presente nel Giappone (è il caso dei Saveriani di Vicenza coi loro ritiri mensili), ci sono altri esempi in cui si è preferito rendere più duttili e vicine ai nostri canoni di preghiera collettiva o solitaria, tali pratiche. Un esempio è la meditazione descritta dal gesuita spagnolo Mariano Ballester.
Da decenni Ballester tiene corsi di "Meditazione Profonda e Autoconoscenza" (MPA) insegnando i principi e il significato che tale pratica assume per i cristiani. Chi non ha ancora avuto la fortuna di partecipare a questi ritiri può farsi un'idea di cos'è la MPA grazie ai libri di Ballester che la descrivono molto bene in tutte le sue fasi e volendo, iniziare a cimentarsi da autodidatta come faccio io da un paio di anni. Nei giorni seguenti vorrei provare a descriverti la MPA come meglio posso (purtroppo coi limiti di uno che l'ha imparata leggendo qualche libro) per due motivi: perchè spero che fra voi che visitate questo blog ci sia qualcuno curioso di iniziare tale pratica (ma in tal caso consiglio caldamente di non fermarsi alla mia descrizione ma di acquistare i libri di Ballester) e secondo perchè spero ancor più di trovare qualche praticante più esperto di me che può darmi qualche buon consiglio o semplicemente condividere le proprie impressioni.

domenica 14 gennaio 2007

Import - Export

Da qualche anno il tanto sperato dialogo fra le religioni si va facendo via via più serio.
Tutto ciò ha degli effetti molto interessanti che potrebbero arricchire notevolmente i fedeli delle religioni che hanno deciso di venirsi in contro per capire fino a che punto due spiritualità anche lontanissime nello spazio e nei costumi siano in realtà al di la delle apparenze simili. Intorno agli anni '70 diversi sacerdoti cattolici, per svariati motivi strinsero contatti con l'oriente, chi per evangelizzare, chi per studi personali, si ritrovarono davanti una cultura lontanissima da quella occidentale per linguaggio, costumi, riti e spesso anche valori. E' un mondo di difficile interpretazione che può spaesare chi non è ben disposto all'apertura e al confronto. Ma con pazienza e passione il dialogo da sempre i suoi frutti, e così l'evangelizzazione ha prodotto le prime comunità cattoliche in Giappone, paese asiatico particolarmente ostico a differenza di altri come India, Malesia, Filippine o la stessa Cina in cui il cristianesimo fu accolto prima e più facilmente.
Ma spesso non si è trattato solo di "esportare" una religione in uno luogo in cui non era nota ma tale cammino ha portato un arricchimento anche a noi occidentali attraverso insegnamenti di questi sacerdoti pionieri del dialogo con filosofie di vita diversissime dalla nostra. Celestino Cavagna, Raimon Panikkar, Mariano Ballester sono alcuni esempi di sacerdoti cristiani cattolici in cui si è concretizzata la sintesi ideale di occidente e oriente, fra messaggio evangelico e visione induista-buddista senza tradire nessuna delle due religioni senza abiurare ad alcun principio, senza creare insofferenze nelle più alte sfere conservatrici vaticane. Essi non solo hanno annunciato "la buona novella" in terre straniere ma da esse hanno saputo cogliere delle perle preziose che il cristianesimo aveva dimenticato di possedere.






sabato 6 gennaio 2007

Pronti al decollo?

Mi chiedevo come mai l'immagine del decollo fosse usata in senso figurato in una infinità di occasioni; far decollare un'attività, una storia fra due persone, un progetto di vita. E' un paragone molto azzeccato, il decollo è quell'evento che trasforma un uccello da animaletto terrestre che fatica a spostarsi con quelle zampette corte in aggraziato animale volante che con due ali più grandi del corpo compie in aria tutti gli spostamenti con semplicità e leggerezza.
La paura un po' irrazionale che hanno molti viaggiatori durante il decollo è dovuta forse all'idea che cambiare punto d'appoggio dalle piccole ma collaudate ruote che poggiano sulla terra ferma alle enormi ali che però fanno leva apparentemente sul nulla, sia qualcosa di rischioso. Il decollo di un aereo è quell'evento che trasforma tonnellate di ferro in una agile macchina volante; al salire della velocità le ruote cominciano a trasferire il lavoro alle ali, che grazie all'aria che le circonda cominciano a farsi carico di tutto il peso. Più l'aria passa velocemente sopra e sotto le ali, più queste diventano efficaci, quando tutto il peso viene spostato su queste il mezzo si "stacca" dalla pista e smette di comportarsi come un veicolo e inizia ad essere un velivolo. Da adesso in poi i comandi che bisogna impartirgli non faranno più leva sulle ruote, ma sulle ali, si tratta di far deviare l'aria che le circonda, sbilanciando il mezzo sul un fianco o l'altro per farlo virare nella direzione voluta.
Ci sono persone che hanno paura di volare perchè pensano che il certo è sempre meglio dell'incerto, perchè far avvenire in noi una metamorfosi è faticoso e spesso doloroso, perdere qualcosa per ottenerne una migliore ma senza nessuna certezza è una decisione che solo un imprudente può prendere. Ma a pensarci bene molte delle scelte di vita sono delle imprudenze, iscriversi all'università, corteggiare una ragazza, traslocare di casa... nessuno ci da mai la certezza di raggiungere i nostri obbiettivi; fatto sta che se nessun uomo avesse mai osato, chissà in quale era preistorica ci saremmo fermati. Un grazie a tutti (*) quelli che con il loro osare, giocandosi spesso la propria pelle oggi mi permettono di viaggiare comodamente da qui a Roma in meno di un'ora.




(*) Nel 1903 Orville e Wilbur Wright erano due ragazzi che costruivano biciclette, avevano il pallino per il volo e un giorno si misero nel loro scantinato a segare assi di legno e rivestirli di tela per metterci su uno dei primi motori a scoppio dell'epoca. L'idea già provata con esiti disastrosi da altri temerari era quella di sdraiarcisi su tenendo saldamente nelle mani tutta una serie di leve per orientare il trabiccolo cercando di farlo sollevare da terra. La mattina del 17 Dicembre invitarono nel loro giardino un paio di amici a fare da testimoni al grande evento della "macchina volante" più pesante dell'aria (caratteristica che la distingueva da dirigibili e mongolfiere). Se fosse andato qualcosa storto Orville poteva spezzarsi una gamba o peggio ancora morire come era successo ad altri prima di lui, ma quel giorno il "flyer1" si staccò da terra fino a 3 di metri di altezza e restò in aria per una cinquantina di secondi percorrendo una distanza di circa 200 di metri. Era la prima volta che l'uomo realizzava il suo sogno più antico. Adesso ci sono aerei che hanno un'apertura alare più grande della lunghezza di quel primo incerto volo, ma quel mezzo viene ancora custodito in un museo di Washington e una targa commemorativa recita così:

"La prima macchina più pesante dell'aria, propulsa a motore, con cui l'uomo abbia fatto un volo libero, pilotato e duraturo. Inventata e costruita da Wilbur e Orville Wright e portata in volo da essi il 17 dicembre 1903 a Kitty Hawk, North Carolina. Attraverso un'originale ricerca scientifica i fratelli Wright scoprirono i principi del volo umano; da inventori, costruttori e volatori svilupparono ancor più l'aeroplano, insegnarono all'uomo a volare e inaugurarono l'era dell'aviazione"