lunedì 3 novembre 2008

Uno sguardo sul mondo

Un bambino è appena nato, i suoi polmoni si svuotano del liquido amniotico che lo ha avvolto e protetto nei nove mesi di gestazione per lasciare spazio all'aria, questa verosimilmente provoca una sensazione di freddo mai sentito prima, sgradevole e pungente, qualche secondo dopo gli occhi si aprono: un abbaglio. Per la prima volta i fotorecettori presenti in gran numero sul fondo della retina vengono stimolati dai raggi di luce e inviano al cervello una grande quantità di stimoli, un bombardamento di sfumature, ombre e forme in movimento incomprensibili ad una corteccia visiva "vergine" che non ha cioè alcun riferimento precedente, alcuna memoria per confrontare e interpretare tutti quei segnali tanto nuovi e misteriosi, non c'è da stupirsi se la prima esigenza che hanno tutti i bambini in salute appena nati è quella di piangere.
Passa qualche giorno e quelle forme e sfumature si fanno sempre più familiari, adesso comincia a crearsi tutto un reticolo di associazioni che coinvolge più sensi, la forma del viso di una persona con la sua voce con il suo calore, tutto comincia a incastrarsi e legarsi. Eppure inizialmente non tutto funziona come dovrebbe, un neonato guarda ciò che lo circonda ma il suo cervello comincia a non essere soddisfatto della qualità delle immagini o meglio della quantità di dettagli che i suoi occhi gli trasmettono, come se non gli bastano più un paio di ombre in movimento e qualche sfumatura ma vorrebbe molti più particolari per discriminare meglio le persone le cose e tutto quello che lo circonda, si chiama processo di accomodazione o "emmetropizzazione".
Ancora ci si chiede se sia soltanto un "lavoro" cerebrale, una ulteriore specializzazione e sviluppo della corteccia visiva oppure avviene un qualche cambiamento nei bulbi oculari o nei muscoli che muovono/deformano l'occhio per migliorare la messa a fuoco, fatto sta che l'ipermetropia congenita piano piano si va correggendo da sola e produce delle immagini che salvo altre patologie resteranno sempre uguali per qualità lungo tutta la vita.
Il senso della vista è il prodotto dell'interpretazione di impulsi elettrici provenienti dai fotorecettori da parte del cervello che svolge il grosso del lavoro, gli occhi sono soltanto dei sensori che captano dei segnali altrimenti incomprensibili, per questo a volte stati di coscienza alterati o punti di vista particolari possono distorcere la percezione di ciò che vediamo, usando una metafora neanche tanto distante dalla realtà, modi di dire come : "Vedere tutto nero" sottolineano quanto sono influenzabili i nostri sensi e quanto poco oggettivo il nostro giudizio sulla realtà che ci circonda quando non siamo nelle condizioni ideali di osservazione.
Un neonato non è capace di produrre una buona immagine per un difetto fisico dei propri occhi che piano piano correggerà ma soprattutto perchè gli manca il bagaglio di esperienze che arricchirà col tempo grazie a tutte le immagini che si fisseranno nella sua memoria. Ed è la stessa cosa che gli succederà in seguito quando, da adulto, si troverà nella condizione di dover vivere esperienze di cui non ha riferimenti passati a cui appigliarsi, e scoprirà quanto è parziale e limitato il suo punto di vista e quanto influenzabile la sua capacità di giudizio.


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2 commenti:

zefirina ha detto...

però per fortuna per chi sa farlo, ogni giorno si impara qualcosa di nuovo, che servirà per la volta successiva

dura per chi non impara mai

marco ha detto...

Dura e triste soprattutto quando si tratta di persone a cui vuoi bene, osservarle, impotenti, ricadere sempre negli stessi sbagli come se la sofferenza causata da un attaccamento mai superato non fosse sufficiente a farli cambiare/crescere e che si può fare oltre a dimostrare la propria vicinanza e il proprio affetto?