lunedì 19 ottobre 2009

Persone in HDR

Non sono un grande appassionato di fotografia ma in viaggio se non ho sempre a portata di mano la mia fidata digitale sento che manca qualcosa. Qualche settimana fa ho scoperto che esiste una tecnica fotografica che si è andata affermando sempre di più negli ultimi anni, tecnica possibile solo grazie ad una elaborazione computerizzata, si chiama HDR ovvero: ampia estensione dinamica. Quando una macchina fotografica apre l'obiettivo per quella frazione di secondo che decide manualmente il fotografo o automaticamente il sensore di luminosità nelle fotocamere digitali, ciò che succede è che la luce entra e impressiona il sensore che converte questi segnali luminosi in pixel. Il pixel è l'informazione che indica al monitor o alla stampante di generare quel preciso colore. Ora bene che vada, se il fotografo è stato bravo o il sensore non è stato ingannato da un dito messo su, quello che succede è che quella frazione di secondo in cui si apre il diaframma è sufficiente a far entrare la giusta quantità di luce e questo produce un'immagine ben bilanciata, ne' troppo scura ne troppo chiara. Le ombre risulteranno grigio scuro e le parti in luce avranno colori che si avvicinano al bianco quasi puro.
Eppure questa immagine sarà sempre la rappresentazione di un punto di vista parziale della realtà, nessuno può dire o estrapolare con calcoli matematici cosa ci potrebbe essere in una parte più buia dell'immagine, o troppo luminosa. Questo significa che probabilmente ci saranno parti troppo in ombra che non permettono di mostrare ulteriori dettagli e parti troppo bianche dove per il motivo opposto accadrà la stessa cosa.
In queste condizioni la tecnica HDR da il meglio di sè, si tratta di fare più scatti dello stesso soggetto, di solito un paesaggio (sarebbe impossibile fotografare soggetti in movimento) tutti scatti che differiscono soltanto per il tempo di esposizione.
Avremo 5, 10 o più fotografie che differiscono per luminosità: nel fotogramma più scuro che probabilmente sarà quasi tutto nero (sotto-esposto) si possono visualizzare meglio i particolari che si trovano nelle zone più chiare, particolari che in quelle a maggiore esposizione non saranno visibili perchè si troveranno in una zona probabilmente completamente bianca. Ma in queste ultime immagini chiare quelle cioè a lunga esposizione metteranno in evidenza i particolare delle zone al buio perchè permetteranno come di amplificare quella poca luce presente nelle ombre.
Il risultato è spettacolare un'immagine piena, in tutti i sensi, i colori sono molto accesi e caldi, i dettagli sono tutti ben presenti e tutto nel complesso pur dando l'impressione di essere ritoccato (spesso lo scatto che ne risulta da un'idea di artificiosità) in realtà si può dire che è una immagine più vera del vero.
Neanche l'occhio umano infatti può fare meglio di così, il cervello automaticamente regola il diametro della pupilla come il sensore delle digitali regola il diaframma e il tempo di apertura.
Tutto ciò dimostra che la luce è un fattore che condiziona fortemente la visualizzazione di un oggetto al punto che è necessario sovrapporre più immagini scattate con condizioni di luci diverse per percepire a pieno cosa abbiamo in realtà davanti ai nostri occhi.
Allo stesso modo le relazioni personali e i sentimenti che ne derivano se spaziano in un ampia gamma sono altrettanto indispensabili per capire a pieno una persona, più è vario lo spettro di sentimenti che si provano per un oggetto più è facile mettere alla luce particolari che sono in ombra o ridimensionarne altri che sono fin troppo in luce.




Oltre cento anni fa l'impressionista Monet aveva capito che per ottenere un'immagine "super-reale" di un soggetto, in questo caso la facciata della cattedrale di Rouen, era necessario dipingere in condizioni di luce diverse. In questo esperimento non si è variato "il tempo di esposizione" ma la quantità e qualità della luce.
Il risultato è simile, un primo abbozzo di immagine HDR.

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