L'astrobiologia
Oggi si è concluso il mio primo congresso internazionale. Il tema era una riflessione sul concetto di abitabilità esoplanetaria. Meno di un anno fa completavo il tirocinio all'osservatorio di Palermo, presentando il mio lavoro a un gruppo di astrofisici che mi ascoltavano con un certo interesse, raccontavo loro di qualcosa che non appartiene al loro mondo i microrganismi capaci di sopravvivere a condizioni estreme.
Tornato a casa, ho iniziato a mettere su carta un'idea: valutare le atmosfere degli esopianeti attraverso quello che sappiamo della vita terrestre, in particolare proprio dei microrganismi estremofili. L'ho chiamata con uno slancio altisonante. "Beyond Habitability". Dopo quasi un anno, quell'idea sta per diventare un articolo scientifico che verrà pubblicato su una rivista prestigiosa, grazie a due astrofisici che hanno creduto in me e l'hanno resa scientificamente solida.
A sei anni dall'inizio dei miei studi in Fisica, realizzo il sogno di diventare un ricercatore nel campo dell'astrobiologia.
Due obiettivi, due paure
Ho iniziato questo percorso con due obiettivi. Il primo, dichiarato: la laurea in Fisica, almeno la triennale. Il secondo non confessato: poter dire "sono dei vostri, non guardatemi dall'alto in basso". Fare qualcosa per farli ricredere sul come un biologo può dare un contributo insostituibile alla ricerca astrobiologica.
Il primo obiettivo è ancora lì, vicino ma capace di incutermi il timore di sempre. Ogni esame fallito è un pugno nello stomaco perchè riaccende tutte le volte la paura di non farcela. Poi la forza di volontà che mi rimette sui libri, ancora una volta. Sono in ritardo, vado piano ma ritorno sempre da dove mi sono fermato.
Il secondo obiettivo quello più ambizioso è arrivato senza che io facessi niente di più che mettere su carta un'idea. Adesso vivo in questa realtà incredulo: chiedono a me spiegazioni, dicono di non aver mai sentito niente di simile. Apprezzano la fusione di dati da due mondi così lontani - microbiologia e astrofisica computazionale - per ottenere qualcosa di concreto ed estremamente utile. Leggo stampato sui loro volti la frase: perchè non c'aveva mai pensato nessuno prima? Già perchè prima di iniziare a scrivere ero sicurissimo che qualcuno prima di me avesse fatto qualcosa di simile, ma niente, sono stato giorni a cercare ed ero incredulo anche io come un'idea perfino banale non si fosse mai strasformata in una strada da percorrere. "Simple and amazing" il commento di un mostro sacro della ricerca astrobiologica con quasi 200 pubblicazioni alle spalle, non sapevo che dirgli, gli ho sorriso imbarazzato.
Sono bastati sei anni di studio per fare davvero parte di questo mondo. Quello fatto di persone comuni che sentono un'urgenza, che si alzano con un'idea in testa, con lo sguardo frustrato quando come in questo periodo storico dati non ne arrivano e si sgomita per chi porta qualcosa di lontanamente interpretabile come vita, ma che tutte le volte finisce nel dimenticatoio sommerso da una montagna di dubbi critiche o smentite. Ma di una cosa sono sicuri tutti, vogliono spendere il tempo che hanno a disposizione per trasformare la loro certezza interiore in verità scientifica e solidamente dimostrata.
La sindrome dell'impostore
Negli ultimi mesi le cose sono cominciate a farsi serie, prima l'affiliazione all'istituto nazionale di astrofisica, poi l'entrata in un gruppo di ricerca all'osservatorio astronomico partecipando alle loro riunioni e lavori. Mi assalgono i dubbi: sono nel posto sbagliato? Nel posto di un altro più capace, più adatto, con una vita meno complicata della mia? Forse sono un abusivo - non dovrei fare quello che faccio perché non ho i titoli giusti, sono ancora uno studente, perchè mi stanno dando così tanto credito?
Poi, durante il congresso, parlo con un professore di fisica. Mi guarda negli occhi e con grande franchezza, mi dice: Io per anni mi sono improvvisato astrobiologo, ma sapevo di non essere adeguato. Ho guardato quelle colture batteriche senza capirci nulla. La prima volta che le abbiamo sottoposte agli UV praticamente le abbiamo fatte evaporare dentro "quel coso lì". Suggerisco io: la Petri... ecco bravo, capito? Con una risata di imbarazzo. Quindi tieni presente che per fare astrobiologia servono i bi-o-lo-gi, non i fisici, noi non sappiamo neanche parlarci, non li capiamo!"
Per la prima volta sento parole che rispecchiano i miei pensieri, ma speculari. Pensavo di non poter dare nulla alla fisica finché non fossi diventato un fisico, pensavo di non capirli io e di non parlare la loro lingua e proprio un fisico mi dice che hanno bisogno di me. Pensavo di essere inadeguato per il mio percorso da studente con vent'anni di ritardo e scopro che a sentirsi inadeguati sono i fisici quando provano a fare i biologi.
Io avevo la sindrome dell'impostore. Uno di essi ammetteva di esserlo.
Il mio posto nel mondo
Adesso so perché mi trovo qui e cosa ci sto a fare. Mi trovo esattamente dove devo trovarmi, autorizzato dalla mia passione per la ricerca della vita nell'universo. Devo condividere il mio punto di vista con chi ne ha uno più ristretto, prestare i miei occhi per indicare sentieri che non riescono a vedere.
Il professore prosegue, quasi sconsolato: "Io c'ho anche provato a cercare un biologo, sai? Per qualche tempo si era interessata una ragazza appena laureata, abbiamo fatto studi interessanti, ma poi le è stata proposta un'idea più allettante nella sua facoltà ed è andata via. Spero che giù a Palermo non ti facciano scappare, perché di biologi veramente interessati all'astrobiologia non ne ho mai incontrato uno in tutta la mia vita."
Ho sentito nella sua voce le risposte che cercavo. La laurea in Fisica probabilmente non mi trasformerà in un fisico, semplicemente perché la mia prima forma mentis è più radicata. Però mi darà gli strumenti per capire in profondità l'astrofisica e il linguaggio matematico e rigiroso che contraddistingue la fisica. E forse non sarà necessario andare oltre. O forse mi concederò di andare oltre per il piacere di mettermi ancora alla prova.
Il cerchio che si chiude
Ripenso a quei giorni tormentati in cui mi chiedevo se stavo facendo la cosa giusta, se era una scelta egoica o se da tutto questo poteva uscire qualcosa di utile per gli altri. Se Qualcuno mi aveva indicato questa via per qualcosa di grandioso o se stavo alimentando il mio desiderio di approvazione.
Scioglierò questo dubbio quando questo articolo e i successivi saranno pubblici, quando l'impatto della mia idea sulla comunità scientifica sarà misurabile se l'interesse di chi l'ha apprezzata sarà condiviso da tutti
Ogni cosa è partita da un pensiero che si è trasformato in parola, poi in azione, poi in molte azioni, poi in un'attitudine, poi in una capacità e infine in un ruolo nel mondo.
Ciò che siamo è il risultato di ciò che abbiamo pensato.