La facoltà di Fisica è la leva militare che non ho fatto.
I
professori ti addestrano, ti danno in mano un fucile ti spiegano com'è
fatto e come si usa. Aule piene di post-adolescenti con lo sguardo
attento, osservo il loro affanno nel riempire quaderni di appunti, quasi
10h ore di lezione al giorno per i prossimi 9 mesi. Aria stanca, la
fronte appoggiata sul palmo, gli occhi due spolette fra la lavagna e il
quaderno, un giorno saranno in guerra. I professori, hanno combattuto la
loro battaglia, conquistarono terreno e oggi la trincea in cui ci
troviamo è di qualche km più avanti, ci addestrano dalle retrovie. Alla
fine della leva toccherà a noi. Il nemico non fa vittime, ci paralizza
nella condizione in cui siamo, obbliga la nostra specie a stare al
confine, un confine di non conoscenza che ci circonda, un muro di
ignoranza che cerchiamo da neanche 400 anni di spostare un po' più in
là. Un baratro tutto intorno di cui non si conosce la profondità e
neanche l'estensione. La prima arma fu quel telescopio che Galilei si
costruì da solo, il primo squarcio che da quel momento generazioni di
fisici hanno cercato gradualmente di allargare con mezzi sempre più
potenti. Ma adesso sembriamo essere ad un punto morto. La gravità, il
tempo, la materia oscura, i buchi neri, il modello standard ancora
incompleto e tutti i fenomeni quantistici ancora incompresi pienamente a
quasi 100 anni dalla loro osservazione sperimentale. Buio totale.
La
nostra specie nasce con questo fuoco inestinguibile, una necessità di
spostare i confini della conoscenza un po' più in là. Quest'anno 70
diciottenni da mezza regione hanno deciso di arruolarsi pensando che ne
valga la pena sacrificare la loro giovinezza per questa causa: dare
all'umanità un universo un po' più grande di quello in cui attualmente
siamo.
Nessun commento:
Posta un commento